mercoledì 15 settembre 2010

venerdì 6 giugno 2008

Caratteristiche botaniche dell'Olivo

Come caratteristiche botaniche l’olivo presenta un’ apparato radicale alquanto esteso, e molto superficiale, costituito principalmente da radici fascicolate e superficiali che si espandono lateralmente; nella zona di intersezione tra le radici e il fusto, chiamato pedale, o ceppaia, o ciocco, risulta ingrossato dal quale facilmente si sviluppano dei germogli chiamati polloni, e che vanno eliminati perché sfruttano la pianta. Dal pedale si sviluppa il tronco, che è grigio-verde e liscio fino al decimo anno circa di età, dopo di che diventa più nodoso, con solchi profondi e contorti, ed assume colore scuro. Il tronco diviene più o meno lungo, a seconda della forma di allevamento scelta; sono state trovate delle piante ultrasecolari che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli. Sul tronco sono inserite le branche che recano i rami; su questi nascono i germogli che sono le ramificazioni che si sviluppano nell'annata. I germogli che nascono sul dorso dei rami e branche perpendicolarmente, e crescono rapidi e vigorosi, sono detti succhioni, e anche questi vanno eliminati in quanto sfruttano la pianta. Dalle varie ramificazioni nascono le foglie, che si formano dalla primavera all'autunno e restano vitali fino a due anni di età, subito dopo cadono e vengono sostituite da delle altre. La foglia è lanceolate lunghe in media da 5 a 8 centimetri, verdi nella parte superiore, grigio argento nella parte inferiore. Sull'ascella di ogni foglia, cioè il luogo di intersezione fra il ramo e il peduncolo della foglia, si trova una gemma. L'ulivo è caratterizzato da due tipi di gemme, la gemma a legno che dare luogo ad un germoglio, e la gemma a fiore, che darà luogo a una infiorescenza. Da questa infiorescenza nasceranno dei fiori riuniti, e non singoli, simile ad un piccolo grappolo, chiamata comunemente "mignola". Questi fiori sono ermafrodita, possiede cioè uniti gli organi maschili (due stami) e quelli femminili (pistillo); il fiore è molto piccolo (3-5 mm) e la sua corolla è costituita da quattro petali biancastri saldati fra di loro alla base; il pistillo è tozzo, breve, provvisto di uno stimma ampio piumato, ricco di papille e quindi molto adatto a trattenere facilmente il polline. La fecondazione di questo fiore è anemofila, cioè avviene per mezzo del vento, anche a notevole distanza tra le piante. Da questa fecondazione nascono i vari frutti chiamati “Olive” o “drupe”; i frutti pesano da 2 a 20 grammi, ed hanno un colore che cambia dal verde al viola al nero violaceo a seconda della varietà dalla pianta, la sua forma in genere e ovoidale ed all'interno è formata da tre parti: il seme chiamato endocarpo, e legnoso e ha la forma della drupa; il mesocarpo che è la polpa ricca di olio, raccolto in goccioline all'interno delle cellule; e infine la buccia chiamata epicarpo, che può essere più o meno grossa, e riveste il ruolo di protezione. Per ogni varietà segue un processo chiamato invaiatura dove il colore dell’oliva cambia a uno più scuro.
Le olive maturano a partire da ottobre (a seconda della zona in cui è); e si classificano in due gruppi, tra cui: olive da olio, e olive da confetto o da mensa. Le olive da olio sono usate per la produzione di olio, in quanto ricche di olio, ad esempio la Bosana, o la Nera di Gonnos, Leccino, Frantoio, ecc. Invece per quanto riguarda le olive da confetto o da mensa, vengono usate soprattutto per l'alimentazione diretta, infatti queste hanno poco contenuto in olio all'interno, ma hanno più polpa, ad esempio Olia Bianca, Tonda di Cagliari, ecc. Una pianta d'olivo può produrre dai 30 ai 60 chili a raccolta, e la resa in olio su 100 chili di olive, è di 18-20 chili di olio a seconda della varietà. L'olio come sapiamo si di vide in olio extravergine d'oliva (acidità -1%), olio d'oliva (acidità +2%), olio di sansa, cioè olio estratto dal rimanente delle lavorazioni, per ottenere gli olii accennati prima (acidità molto forte).
L'olio di oliva è utilizzato soprattutto in cucina, principalmente nelle varietà extravergine e vergine, per condire insalate, conservare verdure in barattolo, insaporire vari alimenti, ma anche varie fritture. Nella dieta Mediterranea è consigliato il suo uso per le capacità benefiche che lui possiede, grazie alla presenza di sostanze antiossidanti, è alla proprietà di combattere il colesterolo. Quest’olio è anche usato per la produzione del sapone e in cosmetica, e un tempo si usava come farmaco, e come combustibile per le lampade ad olio. Quindi si può dire che l'olio da sempre a rivestito un ruolo molto importante nelle varie popolazioni che lo hanno conosciuto, facendoci ricordare il sapore e l'odore delle terre su cui siamo nati e cresciuti nel tempo, assimilando le varie tecniche per arrivare a ottenere un prodotto di qualità, ormai conosciuto in campo internazionale.

La vite-Descrizione : La radice

La radice della vite varia secondo le specie e il modo di propagazione della pianta (per seme, per gemma o per talea). La profondità delle radici è limitata e in genere è compresa fra 25-30 cm e 60-80 cm. Notevole è l’espansione laterale: nei vigneti le radici occupano il terreno intorno al fusto e tra le file. In una vecchia vite di 60 anni si sono trovate radici lunghe fino a 20 m!

La vite-Descrizione : Le gemme

Le gemme della vite si distinguono in: pronte, ibernanti e latenti.
Pronte, sono le gemme che germogliano nell’anno stesso della loro formazione.
Ibernanti, se non in particolari casi, non schiudono nell’anno della loro formazione, ma nell’anno seguente.
Latenti, queste gemme non germogliano neppure l’anno successivo, ma solamente in casi eccezionali come, ad esempio, una forte potatura.

La vite-Descrizione : Le foglie

La foglie della vite sono tipicamente palmate, ma la forma e le dimensioni possono variare. Durante l’estate sono verdi opache, a volte bollose nella pagina superiore, pelosette e grigiastre nella pagina inferiore. Le nervature sono visibili nella pagina superiore e rilevate in quell’inferiore. Interessante il fatto che nella vite si riscontra un’accentuata eterofillia ossia la presenza su di una stessa pianta di foglie con forma e grandezza differenti.

La vite-Descrizione : Il fiore

L’infiorescenza della vite è un grappolo composto, inserito sul nodo dalla parte opposta della foglia. Il grappolo è formato da un’asse centrale detto rachide, su cui s’inseriscono delle ramificazioni laterali, i racimoli, che portano i fiori. Ogni fiore è portato da un pedicello che si allarga in prossimità del calice. Il calice del fiore è formato da cinque sepali appena accennati; la corolla è formata da cinque petali, riuniti in alto in modo da formare una specie di cappuccio, la caliptra, che cade in fioritura alla maturazione del fiore. E’ al momento della caduta della caliptra che si rendono visibili i cinque stami, portatori del polline e il pistillo nel centro del fiore, a forma di piccolo fiasco. Si dice quindi che il fiore è ermafrodita, anche se in alcune qualità di viti vi sono, divisi, fiori con stami e fiori con pistilli.

martedì 3 giugno 2008

Olivo-insetti dannosi: Tignola dell'olivo (Prays oleae)

La Tignola dell'olivo, è una farfalla di circa 13-15 mm di appertura alare, di color bianco cenerino, che presenta prevalentemente tre generazioni di accrescimento annuali, tra cui:
1. Larva di 1°generazione;
2. Larva di 2° generazione;
3. Larva di 3° generazione;
Tutte e tre le generazioni, attaccano rispettivamente le foglie, i fiori e i frutti.
Le larve mature sono lunghe circa 8mm, e hanno un colore che va dal verde cenerino col capo rossiccio al marrone.
La prima generazione penetra nei boccioli fiorali distruggendo i vari organi riproduttivi, invece le larve di 2° generazione, che sono le più pericolose, attaccano i frutticini scavando galerie fino all' endocarpo, e provocando pure la cascola anticipata del frutto stesso, ed infine la 3° generazione, dove scavano tortuose gallerie nelle foglie, facendole seccare dall'esterno verso l'interno, queste tipo di larve possono anche entrare all'interno dei germogli, provocando anche su questi del seccume. La lotta è di tipo chimica e agronomica: i prodotti chimici usati sono tutti a base di fosforo, e gli interventi si eseguono soprattutto nella larve di 2° generazione perchè le altre generazioni non comportano gravi danni alle drupe, gli interventi si fanno nei mesi di giugno e luglio al termine delle ovideposizioni e prima della penetrazione delle larva nei frutticini. Invece per quanto riguarda le tecniche agronomiche si usano insetti, tra cui, entomofagi predatori (Rincoti Antocoridi, Ditteri Silfidi e Neurotteri Crisopidi) e parassitoidi (Imenotteri Calcidoidei e Imenotteri Braconidi).

Olivo-insetti dannosi: Cocciniglia mezzo grano di pepe (Seissetia olea)

Questo insetto è un Coccide e vive soprattutto nell'olivo e gli agrumi in generale, ma vive tuttavia su altre piante arboree ed erbacee comprendenti: oleandro, albero di giuda, evonimo, lentisco, aralia, palme, zucca e carduacee spontanee. Le infestazioni sull'olivo, interessano i rami, i rametti e la pagina inferiore delle foglie, dove le neanidi si localizzano lungo la nervatura principale. La cocciniglia causa deperimenti vegetativi, defogliazioni, disseccamenti di rametti, cascola e scarsa fruttificazione. La neanide (fase giovanile della cocciniglia) è di colore giallognolo, e divengono più scure durante lo sviluppo.
Il maschio è alato e compare raramente, la femmina adulta, misura circa 5 mm e il suo corpo è completamente ricoperto da uno scudetto di cera convesso (sotto il quale si sviluppano le uova) con disegnata sopra una H. Gli abbondanti escrementi zuccherini prodotti dalle femmine creano asfissia e provocano vari ustioni (effetto lente), ma creano anche un forte richiamo alimentare per le formiche.
Lo sviluppo della cocciniglia è favorito nelle annate con autunno e inverno miti e con estate umida e non eccessivamente calda. La lotta contro questo dannosissimo Rincote è di tipo agronomico ma anche di tipo chimico.
Il metodo chimico prevede una soglia d'intervento pari a 2-5 neanidi per foglia, o anche 1 femmina ogni ogni 10 cm di rametto. Nel caso si superi la soglia di intervento, si interviene con fosforganici e oli bianchi (si evita l'uso dei primi per l'alta tossicità anche verso l'entomofauna utile, si preferisce il secondo per il motivo opposto). La lotta agronomica si avvale di potature energiche e di basse concimazioni azotate.

Olivo-insetti dannosi: Mosca dell'olivo (Dacus oleae)

La Dacus oleae è il più importante fitofago dell'olivo; esso è diffuso in tutti gli oliveti italiani. La larva della Mosca dell'olivo misura circa 8 mm, ha un'apparato masticatore costituito da due mandibole nere, ad uncino, ben visibili ad occhio nudo, è di colore giallognolo ed è più sottile verso l'estremità cefalica. L'insetto adulto somiglia ad una mosca di piccole dimensioni (4-5 mm) con un apertura alare di 10-12 mm., presenta capo fulvo con occhi verdastri. Il corpo è di colore grigio ed le ali sono trasparenti, con due piccole macchie scure alle estremità. L'alimentazione di questo dittero, nello stato di larva, è la polpa dei frutti, in cui scava varie gallerie, e in caso di alta umidità le drupe bacate, vengono invase da microrganismi che provocano marciumi con conseguente cascola, invece quando diventa adulto si nutre dei succhi che fa fuoriuscire dalle diverse parti verdi della pianta dell'olivo, tramite il suo apparato boccale tipicamente pungente-succhiante. La Mosca dell'olivo è uno tra i principali vettori della Rogna dell'olivo.
La lotta per questo insetto, è di tipo chimico e segue i criteri della lotta guidata e intrgrata; essa viene effettuata con trattamenti al superamento della soglia di intervento, che è stata valutata circa per il 6-8% di drupe infestate. I prodotti usati sono i fosforganici ad esempio: diazinone, dimetoato ecc. Ma la lotta contro la mosca dell'olivo può anche essere di tipo agronomico con l'uso di trappole avvelenate. Ricordiamo che la mosca dell'olivo risente molto dell'alternanza di temperatura che per lei diventa un fattore limitante: infatti l'attività di volo inizia quando la temperatura supera i 14-18 °C e si arresta quando la temperatura supera i 31-33 °C; inoltre il susseguirsi di giornate estive caratterizzate da alte temperature quindi maggiori di 30°C, con una bassa umidità ed assenza di pioggia causano un'elevata mortalità delle uova e delle larve presenti all'interno dei frutti. Il rilevamento degli adulti si effettua con trappole termotropici, alimentari (avvelenate, prima che inizi l'ovideposizione) e sessuali (installate a fine giugno, 2-3 per ettaro), ma la soglia di danno si può stabilire anche con la raccolta di un tot di drupe raccolte a caso, provenienti da un tot di piante, ed esaminare le varie drupe, stabilendo il grado e la percentuale del danno subito, ad esempio su 100 drupe sono state attaccate 20 drupem, il grado del danno e del 20%.

L'Olivo-malattie: Rogna dell'olivo (Pseudomonas Savastanoi)

La Rogna dell'olivo, è una delle principali batteriosi conosciute.
Attacca i rami, le foglie, le radici sulle quali il danno è più rilevante che sulle altre parti della pianta, tronco e i frutti, sui quali si manifestano con tubercoli screpolati, duri e bruni causati da aperture prodotte da avversità, infezioni oppure da traumi.
L'elevata piovosità primaverile accompagnata da temperature, miti favoriscono l'attività del patogeno. I danni sono dovuti alla sottrazione di materiali plastici con conseguente diminuzione della loro produzione anche del 30%. A conseguenza di tale attacco si è rilevato anche un certo peggioramento qualitativo delle olive e dell'olio. La lotta contro la Rogna dell'olivo è di tipo preventivo unicamente agronomico e si avvale delle seguenti precauzioni: potatura di rimonda e distruzione dei rami infetti, non si raccoglie il prodotto tramite abbacchiatura, protezione e disinfezione delle ferite.

L'olivo-malattie:Lebbra delle olive (Gleosporium olivarum)

La lebbra delle olive è un'altra malattia fungina e si manifesta soprattutto nel periodo autunnale quando iniziano le piogge.
Questa malattia, colpisce i frutti in via di maturazione e si formano delle macchie estese, rotondeggianti, raggrinzite, bruno nerastre. Le olive colpite cadono in terra o, comunque, forniscono un olio di scadente qualità (rossastro, torbido e acido). La malattia può colpire anche i giovani rametti e le foglie sulle quali si formano macchie giallastre che in un secondo momento virano al marrone, le foglie colpite disseccano e cadono. La lotta che possiamo effettuare è di tipo preventivo, sia agronomico sia chimico. La lotta chimica si attua in autunno con trattamenti a base di prodotti di rame, invece quella agronomica, si ha fornendo un buon sistema di drenaggio per allontanare le acque in eccesso vavorendo lo sviluppo del patogeno, oppure sfoltendo la chioma al fine di evitare la formazione di un microclima umido, che favorirebbe il patogeno.

L'olivo-malattie: Occhio di Pavone (Cycloconium oleaginum)

L'occhio di Pavone è una tra le più importanti, e dannose malattie, di origine fungina, che attaccano l'olivo. Di fatto colpisce soprattutto le foglie ma non risparmia ne i rametti ne i frutti. Sulle foglie si manifesta con macchie rotondeggianti di 10 mm costituite da cerchi che vanno dal giallo al brunastro. Sui frutti i sintomi invece sono meno pericolosi, e si manifestano come piccole macchioline nere infossate e puntiformi; i rametti invece, sono attaccati solo sulla parte erbacea e i sintomi si manifestano simili a quelli delle foglie.
La lotta è di tipo chimico, e si interviene con un trattamento a Febbraio-Marzo e uno a Ottobre a base di Poltiglia bordolese 0 Idrossidi di rame.

La Sughera

Classificazione, origine e diffusione
Divisione: Spermatophyta
Sottodivisione: Angiosperma
Classe: Dicotyledones
Famiglia: Fagaceae
La Sughera o Quercia da sughero è originaria del bacino del Mediterraneo. In Italia si trovano sugherete in Sicilia, Lazio, bassa Toscana e soprattutto in Sardegna.

Caratteristiche generali
Dimensione e portamento: Quercia sempreverde che può raggiungere i 20 metri d'altezza, con chioma di colore verde-grigiastro. Tronco e cortecciaIl tronco diventa presto sinuoso e si riveste di una corteccia molto caratteristica, spessa molti centimetri, grigiastra, che si stacca facilmente in grossi blocchi pesanti. A ogni distacco la nuova scorza sottostante si presenta di colore bruno rossastro, spesso quasi rossastra. Foglie semipersistenti, semplici a lamina coriacea (come il leccio), ovoidali, con margine dentato e spinoso. Strutture riproduttivePianta monoica a fiori unisessuali; le ghiande sono ovoidali lunghe 2-3 cm e cupola con squame in rilievo.

Usi
La corteccia della Sughera (che si stacca facilmente in grossi blocchi) viene utilizzata per la fabbricazione dei turaccioli e come materiale isolante nell'edilizia.

Il sughero
E' un tessuto vegetale formato da microcellule morte, generalmente di forma poliedrica di 14 lati, addossate le une alle altre e con spazi inter­cellulari. totalmente riempiti di un miscuglio gassoso quasi identico a quello dell'aria. Il parenchima sugheroso è molto omogeneo, perché praticamente non è costituito che da membrane cellulari senza apertura. Sebbene aderente all'albero il sughero è formato da cellule morte. La cellula del sughero presenta una quantità minima di materia solida e una massima di gas, essenzialmente l'aria dell'atmosfera, senza però il gas carbonico. Gli strati intercellulari sono in numero di 5: due sono in cellulosa e rivestono le camere cellulari riempite d'aria: due altri in materia dura e impermeabile all’acqua (Suberina e cera): il quinto è legnoso, e conferisce la struttura e la rigidità. Per avere un'idea della taglia delle cellule del sughero, è sufficiente ricordare che un centimetro cubo di parenchima sugheroso ne contiene circa 40 milioni. Di solito esse sono esagonali e la loro forma è quella di un solido irregolare di 14 facce. Il diametro è ineguale ed oscilla dal 10 al 50 micron; predominano quelle che hanno un diametro compreso tra i 30 e i 40 micron. Tale ineguaglianza sia nello spessore che nella taglia e nel diametro cellulare che costituisce il parenchima sugheroso, interferisce su alcune proprietà meccaniche e fisiche del sughero, specialmente sulla comprimibilità ed elasticità. A partire dal 1942 tutti gli elementi chimici che compongono il sughero vengono estratti perché sempre più utilizzati nelle industrie la composizione è: 45% di suberina, 27% di lignina, 12% di cellulosa e polizuccherine, 6% di tannino, 5% di cereoleina, 5% di cenere e prodotti diversi. Il sughero viene saponificato dagli alcali forti e disgregato dall’acido nitroso e dagli alogeni.
F. Piras, Tempio e Calangianus nell'economia subericola sarda"
Dono senza pari della terra, la cui presenza protettrice e miracolosa genera un'attività economica tradizionale. Albero antico, detentore della memoria degli uomini e testimone del loro lavoro, la sua ombra si estende su luoghi dal paesaggio immutabile, partecipe dei silenziosi movimenti che accompagnano l'armonia dei declivi più dolci, delle pianure più isolate che si offrono al sole del Sud.
In ciò risiede la sua grandezza. Tutto in esso si rivela di un'utilità totale, singolare, creativa, ed esso contribuisce così alla storia degli oggetti più comuni. Per questa ragione è un albero che partecipa alla storia d'un territorio che va dalla punta sud occidentale dell'Europa, di là partendo per luoghi distanti, ambasciatore di un sapore antico, secolare, oggi necessario allo sviluppo di un'arte difficile ed esigente. Tutto ciò trova il suo prolungamento in un lavoro unico e singolare : la lavorazione del sughero. Questo richiede una conoscenza di tecniche e un'esperienza profondamente radicata nella memoria sarda della parte nord‑orientale dell'isola, come il prelievo, la preparazione e la trasformazione del sughero.
ngianus e e Si tratta dì un sapere raro, acuto ed emozionante, per la maniera con cui perdura e accompagna la vita dì generazioni intere, che hanno imparato ad apprezzare, al contatto della terra, il sapore di una relazione di rispetto e dì compagnia
La superficie mondiale dì quercia da sughero è stimata in 2, 2 milioni di ettari. La quercia da sughero cresce nel terreni sabbiosi decalcificati che abbiano un minimo, contenuto di azoto e fosforo, ma ricco di potassio con un PH fra il 5 ed il 6%. Il livello ideale dì precipitazioni è da 400 a 800 millimetri, la temperatura non deve mai essere inferiore a 5° c. e l’altitudine deve situarsi tra 600 e 800 metri.
il tronco della quercia.
E' a partire dal sughero che si stabilisce un'attività economica d'importanza vitale, con molteplici applicazioni : industrie ed attività produttive diversificate. Si dà il nome di sughero al parenchima sugheroso, cioè alla corteccia della quercia da sughero , un albero della famiglia delle fagacee caratteristica della regione del mediterraneo occidentale. La quercia da sughero cresce nella parte occidentale del bacino mediterraneo, sia nel Nord dell'Africa ( Marocco, Algeria, Tunisia ), nel Sud della Francia ( in particolare in Corsica),in Italia ( Sardegna, Sicilia e Toscana), in Spagna e Portogallo.
Questo insieme di condizioni si incontra, a differenti gradi su di una stretta fascia del litorale mediterraneo occidentale. La quercia è un albero che risale all’ Era terziaria, precisamente all’Oligocene, ossia dalla costituzione del grande bacino mediterraneo. Esistente, secondo alcuni, da più di 60 milioni di anni, rappresenta la flora europea a partire da quel periodo geologico. E’ probabile che il suo centro di diffusione sia stato la regione attualmente coperta dal Mar Tirreno e che la migrazione sia stata fatta attraverso la Cordigliera che, nel Miocene, univa le terre oggi sommerse dal Mar Egeo con la penisola Iberica. Come già detto, la quercia è una pianta della famiglia delle Fagacee, alla quale appartengono alcuni vegetali arborei come il castagno e il faggio. In seno a questa famiglia, essa fa parte del genere quercus, che comprende più di 600 specie, di cui la quercia è la specie tipo e presenta un grande interesse economico. La più importante fra loro è la quercia suber, la sola che produca sughero, poiché nessun’altra pianta produce una scorza così grossa e così resistente.

I LEPIDOTTERI DEFOGLIATORI.
I Lepidotteri defogliatori si nutrono di parti verdi della pianta e costituiscono un serio problema soprattutto nei periodi in cui le infestazioni raggiungono dimensioni rilevanti. La perdita delle foglie comporta una riduzione dell’attività fotosintetica con conseguente alterazione delle normali condizioni fisiologiche. Attacchi di forte intensità che si ripetono per più anni possono compromettere l’accrescimento delle giovani piante, mentre le piante adulte di solito reagiscono con più facilità emettendo delle nuove foglie durante la stagione vegetativa e recuperando gradualmente la propria funzionalità. I casi di epidemia di questi insetti sono da imputare essenzialmente ad una serie di fattori che influiscono sulla sopravvivenza delle popolazioni e di conseguenza sulla frequenza delle infestazioni (es. il clima, malattie, la mancanza di predatori ect). Gli studi compiuti fino ad ora hanno permesso di campionare la presenza nelle sugherete, di oltre 300 specie di insetti, di cui circa 34 legate strettamente alla quercia da sughero. Le specie che rivestono una particolare importanza fitopatologia sono essenzialmente la Lymantria dispar L. (Limantride), il Malacosoma neustria L. (Lasiocampide), la Tortrix viridana L. (Tortricide) e l’Euproctis chrysorrhoea L. (Crisorrea). I danni provocati da queste specie possono portare alla completa defogliazione di intere aree forestali. La Limantria e il Bombice gallonato sono le uniche specie di Lepidotteri presenti in Sardegna in grado di determinare, ad intervelli di tempo più o meno regolari, intense ed estese defogliazioni. I Lepidotteri defogliatori non sono dannosi per la salute umana ed un eventuale uso di prodotti chimici deve essere valutato con estrema cautela, in quanto potrebbe interferire negativamente sugli equilibri biologici esistenti, distruggendo non solo i Lepidotteri ma anche buona parte dell'entomofauna forestale. Tecniche rispettose dell’ambiente e dell’equilibrio dei boschi, quali la lotta biologica, microbiologica e biotecnica, avvalendosi di batteri, funghi, virus, protozoi e nematodi, alcuni dei quali riprodotti in laboratorio, si sono rivelate utili nel risolvere il problema. Attualmente in Italia, solo nelle foreste, è consentito l’uso di alcuni formulati a base del batterio Bacillus Thuringiensis che consentendo di effettuare una selezione mirata risulta poco nocivo ai cosidetti insetti utili.

venerdì 30 maggio 2008

L' 0livo - Le zone in cui si sviluppa.

L'olivo (Olea europea) è una pianta sempre verde, con longevità ultrasecolare, fa parte della famiglia Olacee, si sviluppa soprattutto nell’area Mediterranea come Spagna, Italia sud della Francia, Grecia, Tunisia, Marocco, Egitto, Libia, Libano, Cipro ecc; è si sta diffondendo anche negli USA soprattutto in California. In Italia è diffuso soprattutto nel Centro-Sud, Lazio Puglia, Sicilia, Sardegna, Calabria; ma viene prodotto anche in Liguria e nella zona del Lago di Garda. Questo ci fa pensare che l’olivo prediligi, per quanto riguarda le esigenze climatiche, i climi temperato-caldi, con precipitazioni non abbondanti, e non sopporta gli abbassamenti di temperatura repentini, però l’aspetto interessante dell’0livo e che sopporta la siccità, infatti quando la siccità si protrae per molti mesi la pianta reagisce in diversi metodi ad esempio: i germogli cessano di crescere, gli stomi contenuti nelle foglie si chiudono, non attuando cosi il processo di traspirazione fogliare, e l’acqua dalle olive (frutto) viene riassorbita. In questo modo la pianta riesce a superare indenne le lunghe siccità.
Le esigenze pedologiche dell’olivo, sono modeste. In generale l'olivo predilige terreni sciolti o di medio impasto, freschi e ben drenati. Vegeta bene anche su terreni grossolani o poco profondi, con rocciosità affiorante. Soffre invece nei terreni soggetti al ristagno. In merito alla fertilità chimica si adatta anche ai terreni poveri e con reazione lontana dalla neutralità (terreni acidi e terreni calcarei) fino a tollerare valori del pH di 8,5-9. Fra gli alberi da frutto è una delle specie più tolleranti alla salinità, pertanto può essere coltivato anche in prossimità dei litorali.

Le origini dell'olivo

La pianta dell'olivo ha origini antichissime, reperti archeologici del neolitico attestano l'uso di olive come alimento e presenza di olivi già in quello terziario. La coltivazione dell'olivo affonda le sue origini nel lontano Medio Oriente per poi svilupparsi in tutto il bacino del Mediterraneo. I primissimi frantoi, rinvenuti sia in Siria che in Palestina, risalgono intorno al 5000 a.C. La coltivazione dell'olivo è sicuramente attestata in siti archeologici databili al 3500 a.C. sotto forma di noccioli di grandi dimensioni e di numerosi carboni di legno d'olivo, usato per il fuoco o come materiale da costruzione. Talvolta questi resti sono presenti in aree semidesertiche dove l'olivo non avrebbe potuto crescere spontaneamente e quindi testimoniano dei primi sforzi umani per diffonderelacoltivazionedell'olivo. A Babilonia il medico era chiamato "asu", ovvero "conoscitore degli oli", il codice babilonese di Hammurabi regolava la produzione e il commercio dell'olio di oliva (datato 2500 a.c.). Intorno al 2300 a.C. gli Egiziani ornavano le tombe dei faraoni con rami d'olivo, simbolo di vita e di fecondità. Da reperti archeologici si apprende che in Egitto si commerciava l'olio prima della XIX dinastia. Molte popolazioni della Palestina erano dedite all'olivicoltura, ma quella più importante che ha lasciato resti di strutture, di grandi dimensioni, per la lavorazione dell'olivo, è la tribù dei Filistei. In Israele sono stati ritrovati mortai di pietra, datati anche al V millennio a.C., in cui le olive erano ridotte in pasta tramite la forza delle braccia, e sono stati ritrovati anche dei recipienti costituiti da rami d'olivi intrecciati e pietre sovrapposte, la cui forma ricorda l'attuale fiscolo in corda, utilizzato per pressare la pasta d'olive macinate.
Però e per merito dei Fenici e poi dei Cartaginesi, che la pianta dell'olivo approda in molti paesi del Mediterraneo, e anche in Italia; gli Etruschi possedevano già vaste piantagioni nell'Italia centro settentrionale, e a Roma nasceva un vero e proprio mercato dell’olive e oli, che con il suo impero lo trasmesse alle varie popolazioni del Mediterraneo conquistate, come ad esempio la Sardegna.
Ma in Sardegna la coltivazione dell’olivo ebbe la sua massima espansione grazie alla dominazione spagnola, per la quale fecero arrivare in Sardegna, da Palma di Maiorca, ben cinquanta maestri d'arte dell'innesto e della potatura dell'olivo. Ognuno di loro insegnò a vari allievi, e questi a loro volta ad altri. Con questo espediente, fece decollare in pochi anni la produzione di olio nella regione (gia attuata prima dai romani), fino ad arrivare ai nostri giorni, come settore trainante dell'economia Sarda.

L'olivo

La pianta dell'olivo è uno degli elementi più caratteristici dell'ambiente mediterraneo. Anticamente veniva considerata come un simbolo di pace, di trionfo, di vittoria, d'onore, ed il suo frutto era principalmente utilizzato per riti e cerimonie di purificazione; l'oliva veniva usata come prezioso e utile alimento.
L'olio estratto dalle olive poteva essere impiegato come alimento e anche come unguento e come olio per lampade; in medicina gli unguenti venivano applicati sul corpo oppure anche assunti come dei veri e propri medicinali.

martedì 27 maggio 2008

La vite - Le malattie: la Peronospora (Plasmopara viticola)

La Peronospora della vite è causata dalla Plasmopara viticola, fungo originario del Nord America. La maggior parte delle viti americane hanno acquisito nei millenni una notevole resistenza al parassita, le viti europee ne sono a tutt’oggi estremamente soggette. Alla fine del secolo scorso la Peronospora fu causa di gravi danni, tali da provocare in molti casi l’abbandono della coltura. Questa malattia colpisce tutti gli organi verdi della pianta; sulle foglie più giovani compaiono delle macchie sui vari punti del lembo (macchie d’olio), sulle foglie più vecchie genera delle piccole macchie a mosaico e nella pagina inferiore compare una muffa bianco - grigiastra. I danni più gravi sono prodotti dagli attacchi ai grappoli; gli acini assumono un colore bruno – rossastro e avvizziscono. Infezioni particolarmente intense sono da attendersi al termine d’inverni molto piovosi. Una cura efficace è un miscuglio fatto di solfato di rame e calce, tale miscuglio viene chiamato poltiglia bordolese.

La vite - Le malattie: Oidio o Mal bianco (Uncinola necatrix)

Questa malattia, come la Peronospora, fu importata dal Continente americano. Fece la sua prima apparizione in alcune serre inglesi e quindi dilagò rapidamente in tutta Europa. Si manifesta sulle viti sin dalla ripresa vegetativa ricoprendo completamente con la caratteristica patina biancastra interi germogli. Il Mal bianco ha conseguenze particolarmente gravi sugli acini determinando l’arresto dello sviluppo dell’epidermide e la conseguente spaccatura dell’acino. Come prevenzione si usa lo zolfo; esistono anche prodotti di sintesi per combattere l'oidio (fitofarmaci sistemici e citotropici).

La vite - Le malattie: la muffa grigia (Botrytis cinerea)

Il fungo Botrytis cinerea, responsabile della muffa grigia sulla vite, trova le condizioni migliori per il suo sviluppo in primavera, con temperature medie, abbondante umidità e piogge prolungate. Sulle foglie della vite i danni consistono in macchie brune, non di rado ricoperte dalla tipica muffa grigia. Verso il mese di giugno il fungo colpisce, apparentemente senza causare danni, le parti del grappolo che sono in fioritura. Questo periodo è invece il più pericoloso, perché, in seguito all’ingrossamento degli acini, il fungo presente all’interno del grappolo troverà poi, le condizioni ottimali di crescita fino a provocare gravi marciumi. Si ritiene che le infezioni siano possibili quando la superficie del grappolo rimane ricoperta da un velo d’acqua per almeno 15 ore.

La vite - Le malattie: il Mal dell'esca (Fomes ignarius)

Malattia della vite causata da un fungo, il Fomes ignarius. Le infezioni di questo fungo si verificano a partire dalle ferite di potatura o, più eccezionalmente, dall'innesto. Il fungo si sviluppa nel legno, all'interno del ceppo, provocando imbrunimenti e carie. In casi particolarmente gravi, il Mal dell'esca può provocare delle alterazioni sugli acini e dei graduali disseccamenti fogliari. Si previene effettuando i tagli di potatura in senso obliquo in modo da evitare il ristagno dell'acqua piovana facilitandone lo scorrimento.

La vite - le malattie: Ragnetto rosso dei fruttiferi (Panonychus ulmi)

Questo fitofago sulla vite è poco tollerato, in quanto è sufficiente qualche ragnetto per provocare la tipica bronzatura sulle foglie. Lo svernamento del ragnetto rosso avviene sulla rugosità della corteccia all’interno di uova di colore rosso e a forma di cipolla. Verso aprile, con l'aumento della temperatura, dalle uova fuoriescono le prime larve che si portano sulle giovani foglie succhiandone la linfa; in breve tempo queste assumono una colorazione bronzata ed una consistenza cartacea. In un anno si susseguono circa dalle sette alle nove generazioni.

La vite-Le malattie : L'Erinosi (Eriophyes vitis)

Questo piccolissimo Acaro punge la foglia provocando delle bollosità sulla pagina superiore a cui corrisponde, in quella inferiore, un feltro di peli bianchi fra i quali si ripara.
Raramente è dannoso e si nota solo nelle prime fasi di vegetazione.

La vite-Le malattie : La Filossera (Phylloxera vastatrix)

Afide originario dell’America, è stato introdotto in Europa nel 1869 ed ha costituito in passato un vero flagello per la nostra viticoltura. Sulla vite americana la Filossera formava sulle foglie delle “galle”, entro la quale si sviluppava la prole. Parte della prole rimaneva sulle foglie, mentre il rimanente attaccava le radici creando nodosità. Sulla vite europea, invece, fallisce il tentativo delle femmine di formare galle sulle foglie, perciò il ciclo si riduceva ad una serie di generazioni viventi sulle radici che ben presto marcivano facendo morire la pianta. Il problema della Filossera fu brillantemente risolto mediante l’innesto della vite europea su portainnesto americano.

venerdì 23 maggio 2008

La vite-Coltivazione : la potatura

Lo scopo principale della potatura è quello di ottenere un equilibrio vegetativo - produttivo, in altre parole si cercherà di conseguire il massimo sia della quantità di produzione sia della qualità. La potatura invernale della vite è energica e richiede l’asportazione di tutti i tralci che hanno prodotto frutti e di buona parte di quelli nuovi. I tralci rimasti sulla vite dovranno essere opportunamente legati sulla pergola per non correre il rischio di essere strappati dal vento e per fare in modo che crescano ordinatamente. Il tempo della potatura invernale va dalla fine della vendemmia fino al germogliamento. In Trentino Alto Adige si potano le vigne dopo i freddi invernali, sia perché la vite non potata dimostra maggiore resistenza al freddo, sia per ritardare il germogliamento e sfuggire così alle gelate primaverili. A differenza della potatura invernale, alquanto energica, la potatura estiva, o verde, richiede un paziente lavoro di precisione. Vengono eliminati i germogli sterili, viene operata la cimatura, che è l’asportazione della parte terminale del tralcio erbaceo, per favorire la luce e l’aerazione ostacolando lo sviluppo dei parassiti. Per aumentare ulteriormente la luce al grappolo d’uva, si eliminano le foglie e si legano i germogli in modo che crescano in modo ordinato e non creino ombreggiature. Queste lavorazioni sono molto delicate in quanto influiscono direttamente sul metabolismo della pianta, richiedono, inoltre, proprio per la loro delicatezza, molte ore di lavoro.

Il ciliegio - varietà

Durone nero di vignola.
Albero di discreto sviluppo e di media fertilità. Produce frutti grossi di color rosso nerastro con polpa scura, dolci e di ottimo sapore, resistenti allo spacco. Matura a primi di giugno la varietà precocce e a fine giugno quella tardiva.
Ferrovia.
Albero di vigoria elevata, portamento assurgente. Il frutto è di grossa pezzatura, con peduncolo lungo, buccia rossa brillante, polpa rosa, molto consistente. La qualità gustativa e buona.
Lapins.
Pianta di vigoria medio-elevata a portamento assorgente. La produttivita è elevata e costante. E autocompatibile per cui non necessita di impollinatori. La pezzatura è medio-elevata, la buccia è di colore rosso scuro brillante, la polpa è rosa, di consistenza medio-elevata.
Bigarreau burlat.
Una fra le varietà più precoci (metà maggio). Discretamente produttiva, i frutti sono di media pezzatura di color rosso scuro con polpa rossa di buon sapore.
Van
Albero di vigoria medio-elevata, alta produttività. Il frutto è di pezzatura media, con buccia di colore rosso scuro. La polpa è di colore rosso aranciato, di elevata consistenza e di buone qualita gustative.
Montmorency
Albero di scarsa vigoria e portamento espanso. Produttivoità costante ed elevata, frutto di media pezzatura, rosso chiaro con polpa di colore bianco giallastro. Ciliegia acida.
Napoleon
Varietà molto apprezzata per l'elevata fertilità. I frutti sono gialli e rossi dalla parte esposta al sole, sono a forma di cuore molto grossi con polpa chiara, soda e zuccherina. Matura a metà giugno.

La vite - Coltivazione : il terreno

La vite è in grado di adattarsi ai terreni più disparati, tuttavia predilige terreni con buone caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche. Nei terreni calcarei si ottengono vini con un buon grado zuccherino ma scarsa acidità; nei suoli argillosi bisogna fare attenzione ai ristagni idrici, comunque si ottengono uve di qualità; i terreni sabbiosi, quando non risultino siccitosi, consentono un buono sviluppo della vite e produzioni pregiate, in quanto la sabbia conferisce al vino leggerezza e profumo. L'habitat ideale della vite è in collina, anche se molte zone di pianura vantano gloriose tradizioni vitivinicole. L'esposizione solare è di fondamentale importanza nelle regioni del nord,ove la vite preferisce a sud o sud-ovest.

La patata

LA PATATA
La patata è pianta originaria delle regioni montuose oltre duemila metri sul livello del mare della cordigliera andina dell'America centrale e meridionale dove da sempre costituisce una preziosa base alimentare per le popolazioni localiLa parte commestibile della patata (Solanum tuberosum) è un tubero, ossia la parte sotterranea di una pianta, derivata dalla trasformazione di fusti o radici. La natura gli ha conferito il ruolo di riserva di sostanze amidacee e nutritive per la pianta stessa, ma anche l'uomo ha saputo trarne vantaggio. Originaria dell'America, iniziò a diffondersi in Europa solo attorno agli inizi del 1800. E' probabilmente il più versatile tra gli ortaggi conosciuti.,.. Attualmente la patata è diffusa in tutto il mondo su circa 20 milioni di ettari, nelle zone temperato-fredde mentre in Italia la superficie coltivata è di circa 90.000 ettari la coltura trova condizioni ottimali in climi temperati, benché spostando il ciclo colturale si adatta a climi diversi. Il gelo danneggia le foglie e arresta lo sviluppo dei tuberiSemina e messa a dimora:
le patate dette da seme devono avere un diametro tra i quattro e gli otto centimetri, ed un peso intorno ai cinquanta grammi ognuna. Le patate più grosse si possono tagliare per ricavarne dei pezzi provvisti ognuno di almeno due gemme. Conviene compiere questa operazione alcuni giorni prima della semina perché le ferite abbiano il tempo di cicatrizzarsi.Sul terreno ben lavorato, si tracciano dei solchi ad una distanza sulle file di cinquanta-sessanta centimetri.I tuberi vengono distribuiti ad una distanza di venticinque-trenta centimetri e ricoperti di terra sciolta per uno spessore di tre-sette centimetri. Si può ricorrere alla pregermogliazione mettendo a dimora tuberi con germogli già sviluppati.Prima della semina si deve effettuare un'accurato spietramento per evitare che le nuove patate crescano deformi.
TECNICA COLTURALE.
. La patata è una pianta erbacea annuale, ma che in natura si comporta come perenne data la sua prerogativa di propagarsi vegetativamente per mezzo di tuberi, che sono quindi il prodotto utile e il mezzo di propagazione della coltura. La pianta di patata si origina da un tubero le cui gemme germogliando producono steli eretti, angolosi, alti 0,3-1 m lievemente pubescenti. Le foglie sono di numerosi e spesso mancanti, sono riuniti in cime terminali portate da peduncoli. I fiori sono vistosi tipo imparipennato irregolare, leggermente pelose, composte da 3-4 paia di foglioline intere, ovato-acuminate, e da qualche altra fogliolina più piccola irregolarmente intercalata. I fiori, poco per una corolla di cinque petali saldati, di colore bianco, rosa o rosso violaceo. I semi non hanno alcuna importanza agronomica come mezzo di riproduzione della patata, di essi si servono solo i genetisti per il loro lavoro di miglioramento genetico.Dai nodi interrati degli steli si sviluppano numerose radici avventizie e numerosi steli sotterranei a portamento orizzontale (rizomi); le radici sono fibrose, fascicolate, molto ramificate ed espanse, ma limitatamente a uno strato di suolo piuttosto superficiale (0,5-0,6 metri. .Il. tubero della patata, come si è visto, è un tubero caulinare in quanto corrisponde alla parte terminale ingrossata di uno stelo sotterraneo in cui, quando è giovane, si ritrova la tipica struttura di uno stelo: epidermide, corteccia, cilindro vascolare con il suo cambio, midollo centrale. In un tubero completamente maturo l’epidermide è sostituita dal periderma (o " buccia ") fatto di strati di cellule suberose, che protegge l'interno del tubero dall’eccessiva perdita d'acqua e dalla penetrazione di funghi e batteri. All'interno, sia la corteccia sia il midollo sia il parenchima che costituisce la maggior parte del tubero, sono divenuti sede di accumulo di grandi quantità di amido.In mezzo a questa massa di tessuti, diversi ma non più facilmente distinguibili, si notano fasci fibro- vascolari diretti verso gli “occhi”. La dimensione dei tuberi varia molto secondo le condizioni di coltivazione oltre che con la varietà: il loro calibro va da meno di 40 mm (minimo accettabile per consumo) a 70 mm e oltre (calibri molto grandi sono apprezzati solo per ricavarne "sticks"). La coltivazione va gestita in modo da realizzare produzioni elevate di tuberi del calibro più richiesto dal mercato (da 40 a 60 mm, indicativamente).. Come è variabile il calibro, così è il peso dei tuberi: circa 40 grammi per un calibro di 30 mm, circa 100 grammi per un calibro di 50 mm, diversi ettogrammi per calibri superiori.La forma dei tuberi varia secondo la varietà: tonda, tondo-ovale, ovale, ovale-lunga, lunga.I colori della buccia sono due: giallo o rosso; la "pasta" interna invece può essere bianca o gialla, con varie sfumature: bianco candido, bianco crema, giallo, giallo chiaro, giallo intenso.

Alcune Varietà:
a pasta bianca, di forma tonda, può essere di Napoli o di Como: è piuttosto farinosa quindi adatta alla preparazione di purè, sformati e qualunque piatto che ne prevede la frantumazione.
A pasta gialla, detta Bintje, più soda e compatta, piuttosto versatile ma particolarmente adatta per essere cucinata intera e per essere fritta.
La Rossa, saporita e consistente, adatta ad ogni tipo di preparazione.
La Novella , è il tipo che viene raccolto immaturo ed è disponibile tutto l'anno; è caratterizzata da polpa delicata e vie ne cucinata suprattutto arrosto o lessata
Conservazione:
le patate si conservano molto bene e a lungo, rispettando i seguenti piccoli accorgimenti: è necessario che stiano al buio per evitare che diventino verdi; la temperatura non deve essere nè troppo umida (mai al di sotto dello 0, altrimenti gelerebbe) nè troppo secca (mai al di sopra degli 8° C, altrimenti tende a germogliare), la cantina sarebbe il luogo ideale..
Valore nutrizionale
Dal punto di vista nutrizionale le patate sono conosciute principalmente per l'alto contenuto in carboidrati (circa 26 grammi in una patata di 150 g, cioè medie dimensioni), presenti principalmente sotto forma di amidi. Una piccola ma significativa parte di tali amidi delle patate è resistente agli enzimi presenti nello stomaco e nell'intestino tenue, sì da raggiungere l'intestino crasso quasi intatta. Si ritiene che questi amidi abbiano effetti fisiologici pari a quelli delle fibre alimentari.
Le patate sono fonte di importanti vitamine e minerali. Una patata di medie dimensioni (150 g), consumata con la buccia, fornisce 27 mg di vitamina C (45% della dose giornaliera raccomandata), 620 mg di potassio (18% della dose giornaliera raccomandata), 0,2 mg di vitamina B5 (10% della dose giornaliera raccomandata), oltre a tracce di tiamina, riboflavina, folati, niacina, magnesio, fosforo, ferro e zinco. Inoltre il contenuto di fibre di una patata con buccia (2 g) è pari al contenuto di fibre del pane integrale, della pasta e dei cereali. Oltre alle vitamine, ai minerali ed alle fibre, le patate contengono svariati composti fitochimici, quali i carotenoidi ed i polifenoli.
Non tutte le sostanze nutritive delle patate si trovano nella buccia; questa contiene circa la metà delle fibre, ma più della metà delle sostanze nutritive sono contenute nella polpa. La cottura può alterarle notevolmente.
Le patate novelle e le varietà a forma allungata contengono una quantità minore di sostanze tossiche, e rappresentano una fonte eccellente di nutrienti. Le patate sbucciate e conservate a lungo perdono parte delle proprie proprietà nutrizionali, benché mantengano il proprio contenuto di potassio e vitamina B.
Le patate sono spesso escluse dalle diete a basso indice glicemico, in quanto si ritiene che possiedano un'alta quantità di zuccheri. In realtà l'indice glicemico delle patate varia in maniera considerevole a seconda della loro varietà (patata a buccia rossa, a pasta bianca, eccetera), della loro origine (zona di coltivazione), della preparazione (metodo di cottura, se consumata fredda o calda, in purè, a tocchetti o intera ecc.), e degli altri cibi con cui si accompagna (salse ricche di grassi o ad alto contenuto proteico.
Le Avversità tra i parassiti che attaccano la Patata i più importanti sono: la dorifora decemlineata che è un coleottero che si nutre delle foglie della pianta sia come larva che come insetto. Si combatte con prodotti a base di arsenico. Il grillotalpa che agisce di notte da metà marzo a metà ottobre e si combatte con esche avvelenate. Il maggiolino allo stato larvale.Le malattie da virus possono provocare ingiallimento e nanismo. Ricordiamo il virus 14 che provoca l'accartocciamento delle foglie. Fra le crittogame ricordiamo la peronospora che colpisce foglie e tuberi provocando annerimento e la morte, si previene con irrorazioni a base di solfato di rame. - Il mal bianco del pedale attacca ogni parte della pianta provocando l'imbrunimento e la morte.- Il marciume secco provocato da verticillum e fusarium che attaccano la Patata formando cavità che anneriscono e provocano l'essiccamento della pianta.Raccolta: avviene quando in primavera i tuberi si staccano dagli stoloni, ma è bene non effettuare la raccolta prima che appassiscano le foglie.
La raccolta si effettua a mano con gli attrezzi tradizionali, o a macchina se si tratta di coltura in pieno campo. E' bene cheI tuberi portati alla luce si asciughino per qualche tempo al sole sul terreno e quindi vanno conservati in un luogo buio, poiché la luce fa germogliare gli occhi e stimola la formazione di solanina.

martedì 20 maggio 2008

La vite - Coltivazione : il clima

La vite trova in italia le condizioni pedoclimatiche ideali, infatti è coltivata in tutte le regioni. La vite europea resiste bene fino a temperature di - 15°, -20°C; non sono considerate dannose le gelate autunnali, mentre possono essere molto pericolosele gelate primaverili, che danneggiano i germogli. La vite è considerata una pianta arido-resistente, che si adatta bene a terreni siccitosi. Circa il 60% dei vigneti italiani sono impiantati in zone collinari non irrigate e soggette alla siccità estiva. La luce è un elemento importantissimo per la vite, infatti il sistema di allevamento deve assicurare la massima esposizione alla luce solare su tutto il vigneto.

La vite - Cenni storici

La vite è una pianta antichissima che trovato il suo habitat naturale nel bacino del Mediterraneo, soprattutto in Italia e in Francia. Prima che la coltivasse, l'uomo si cibava dei suoi frutti. I Latini e i Romani coltivarono intensamente la vite, mentre nel Medioevo ci fu una decadenza. Solo i monaci continuarono a coltivare e migliorare, in quanto il vino prodotto dall'uva era fondamentale per la celebrazione della Mensa Eucaristica. Nel 1498 Cristoforo Colombo, portò alla regina Isabella di Spagna dei frutti di vite selvatica presi a Cuba. Ma nel XIX secolo la fillossera, un mortale parassita portato dall'America del Nord, minacciò gravemente la viticoltura europea. Allora un sistema di difesa usato per salvare i vigneti europei, fu di innestare le viti nostrane europee sulle viti americane, resistanti alla puntura della fillossera.

martedì 13 maggio 2008

Il ciliegio

- Nome scentifico: Prunus avium;
- Famiglia: Rosaceae;
La pianta raggiunge l'altezza di 20-25 m, ha un tronco robusto, con corteccia grigio scura, dalle caratteristiche striature trasversali. I rami giovani sono ricoperti da corteccia liscia con lenticchie molto evidenti. Le foglie sono alterne ovato- allungate seghettate; i fiori sono bianchi, ermafroditi, a cinque petali, riuniti in gruppi da uno a sei, i frutti (ciliegie) sono drupe globose di varia lunghezza di colore rosso più o meno scuro o anche giallo e variamente sfumate di rosso con un lungo picciolo. In Italia se ne distinguono due sottosprcie coltivate:
- la duracina, che danno ciliegie a polpa soda;
- la juliana, dalla qualle provengono quelle con frutti a polpa tenera.
In Italia la coltivazione delle ciliegie è diffusa principalmente in Campania, Emilia-Romagna, Vaneto e Piemonte. Le ciliegie si possono consumare fresche, in marmellata e sotto spiritto. Il legno del ciliegio ha particolari caratteristiche di tenacità e durezza per questo trova buon impiego nella fabbricazione di mobili.
Descrizione.
Pianta di origini asiatiche, diffusa in europa fin dai tempi antichi, il ciliegio si può dividere essenzialmente in due specie diverse:
- il ciliegio a frutto dolce;
- il ciliegio a frutto acido.
Il ciliegio dolce a sua volta si distingue in due categorie:
- le duracine dette anche duroni, sono piante di notevole sviluppo che possono raggiungere anche i 20m d'altezza;
- le tenerine sono piante di dimensioni più riditte e con una crescita più lentta.
Hanno entrambe foglie grandi e ovali, i fiori sono generalmente bianchi. Nelle duracine, i frutti hanno la polpa dura e croccante che può essere, secondo la varietà, bianca, rossa o nerastra.
Le tenerine invece hanno la polpa molle e molto succosa solitamente rossa o nera. Il ciliegio acido si distingue anche per altri caratteri in tre diverse categorie:
- le amarene;
- le visciole;
- le marasche.
Le amarene sono piante di scarso sviluppo con rami pendenti e foglie piccole, i frutti sono di color rosso intenso con polpa e succo chiari. Le amarene sono usate per la produzione di succhi e sciroppi. Le visciole hanno i rami dritti con foglie molto grandi, i frutti sono di color rosso brillante come la polpa e il succo, hanno sapore dolciastro perciò sono utilizzate anche per il consumo fresco e per produrre marmellate. Infine le marasche che sono piante di taglia piccola come anche le foglie e i frutti, i quali sono usati dall'industria per la produzione di liquori.
Portainnesti.
Il portainnesti più usato dai vivai è il franco, che da un notevole sviluppo alla pianta ed entra in produzione dopo 6-8 anni. Il franco preferisce terreni sciolti, molto profondi e drenanti. Un'altro portainnesto e il malebbo, che da un ridotto sviluppo alla pianta e si adatta molto ai terreni poveri, secchi e sassosi molto frequenti nelle zone collinari. Il malebbo rende la pianta meno longeva, ma anticipa la messa a frutto e ne esalta le qualità organolettiche.
Impollinazione.
Moltissime varietà di ciliegio dolce sono autoincompatibili, perciò è spesso necessario piantare almeno due o tre piante vicine di varietà diverse.
La concimazione.
Anche per il ciliegio si consiglia di usare concimi organici, come il letame o lo stallatico. Per aver abbondanti produzioni di ciliegie si può concimare con abbondanti dosi di azoto e con dosi leggermente inferiori di fosforo e potassio.
Le malattie.
Oltre alla possibile presenza di cocciniglie e di afidi, si segnalano casi di mosca delle ciliegie che depone le uova nei frutti, le larve si ciberanno della polpa succosa una volta schiuse le uova. Altri patogeni di origini fungina sono il corineo che produce delle macchie sulla foglia che necrotizza i tessuti lasciandole bucherellate, la ruggine che colpisce la pagina inferiore della foglia arrossendola e portandola rapidamente alla caduta e infine la ticchialatura che può danneggiare fogli, fiori e frutti.

venerdì 9 maggio 2008

La vite - Cenni botanici

La vite europea (Vitis vinifera sativa), appartiene al genere Vitis, famiglia Vitacee o Ampelidee, ordine Rhamnales, sottoclasse Dicotiledoni. Il genere Vitis è distinto in due sottogeneri:
-Muscadinia, comprende V. rotundifolia e V. munsoniana;
-Euvitis, suddiviso in:
-gruppo viti americane;
-gruppo viti asiatiche orientali;
-gruppo viti euroasiatiche (tra cui Vitis vinifera).
Di quest' ultimo sottogenere fanno parte la grande maggioranza di specie utilizzate in viticoltura (sia da vino che da tavola) in Italia e nel mondo.

venerdì 2 maggio 2008

La sindria (L'anguria)

Le origini
Originario dell'Africa tropicale, dove sono ancora presenti numerose forme spontanee, il cocomero (Cucurbita citrullus) era già conosciuto dagli antichi Egizi, che lo coltivavano lungo il Nilo.Successivamente fu introdotto nel bacino del Mediterraneo; nel nostro paese questa coltura si diffuse all'inizio dell'Era Cristiana.
La coltivazione dell'anguria
A livello mondiale, la coltivazione dell'anguria interessa circa 1.500.000 ettari ed è particolarmente diffusa in Russia, Turchia, Brasile e Stati Uniti.In Italia questa coltura si estende su una superficie di circa 18.000 ettari, da cui si ottiene una produzione superiore alle 600.000 tonnellate, concentrata soprattutto in Emilia-Romagna, da cui proviene il 30% del raccolto nazionale, e nel Lazio. Per quanto riguarda il panorama varietale, le cultivar più diffuse in Italia sono Sugar Baby e Crimson Sweet.
Consumo e conservazione
Grazie all'elevato contenuto di acqua (oltre 95 grammi per 100 grammi di prodotto), l'anguria possiede una notevole capacità dissetante. Questo frutto svolge, inoltre, una buona azione diuretica.In cosmesi, si utilizza la polpa per preparare maschere rinfrescanti ed idratanti; il succo entra invece come ingrediente di lozioni che ammorbidiscono la pelle. Oltre ad essere consumata al naturale, l'anguria può essere utilizzata per preparare macedonie, marmellate, confetture e dolci. Le migliori condizioni di conservazione si raggiungono con una temperatura di 10-15 °C ed un'umidità relativa dell'80-90%.

Sa Pompia, il dolce della tradizione

L’albero sembra un arancio, ma i rami sono molto spinosi.
I frutti sono stranissimi, grandi come e più di un pompelmo – possono pesare anche 700 grammi – di colore giallo intenso e con la buccia spessa, granulosa, anzi si può dire bitorzoluta, costoluta. La pompìa esiste già da oltre due secoli, cresce solo in Sardegna, in un’area della Baronia che gravita intorno al comune di Siniscola. Cresce spontanea nelle macchie e negli agrumeti ed è arrivata sino a oggi perché è la materia prima fondamentale di alcuni dolci tradizionali di Siniscola.
AVVERSITA' E CURA DEGLI AGRUMI.
Gli Agrumi sono soggetti ad una ampia casistica di avversità.
Le patologie di tipo ambientale: sono tipicamente le carenze, fra cui la clorosi ferrica, la quale si manifesta a vari livelli a seconda della gravità.
Le foglie ingialliscono progressivamente, dagli apici vegetativi sino alla base della pianta.
Nei casi critici le piante non fioriscono o hanno scarsa fioritura o perdono precocemente i frutti. Le foglie poi si seccano ai bordi e cadono sino a portare la pianta a completa defogliazione. Assieme a questa carenza ve ne sono altre che presentano sintomi differenti fra cui: ingiallimenti delle foglie basali, torsione delle foglie, l' imbianchimento e la deformazione delle foglie, oppure punteggiature e arricciamenti, a cui fanno seguito scarsa fioritura e fruttificazione e scarse qualità dei frutti (aromi, zuccheri, colore e pezzatura) .
Queste cause sono controllabili preventivamente, con l'utilizzo di fertilizzanti idonei come quelli specifici per agrumi, mentre in altre situazioni le piante sono recuperabili a livello delle prime manifestazioni con interventi specifici con integratori di microelementi.
Altre cause "ambientali" sono:
1) la carenza di luce, che porta a scarsa fioritura e conseguente scarsa o nulla fruttificazione, oltre ad una crescita minima delle piante; si consiglia quindi di porre gli Agrumi in luogo molto luminoso, con almeno 4-6 ore di sole diretto al giorno.
2)L'inquinamento: queste piante non si sviluppano al meglio nei luoghi molto soggetti ad inquinamento, si sconsiglia quindi di utilizzarli nelle aiuole spartitraffico, o comunque nell'arredo urbano in aree soggette a molto traffico automobilistico.
3) Gli stress termici invernali ed estivi; nelle zone con inverni molto freddi è bene tenere le piante di Agrumi in luogo protetto, almeno fino al mese di aprile o maggio, in modo da evitare qualsiasi esposizione a temperature di molto inferiori allo zero per periodi prolungati; in estate può essere necessario ombreggiare leggermente gli esemplari coltivati in vaso durante le ore più calde della giornata.
4)L'eccesso di salinità in acqua e suolo, che porta la pianta ad una debilitazione generale.
In questi casi assieme alla prevenzione e la rimozione della causa predisponente è consigliato il tempestivo utilizzo di prodotti "energetici" per offrire alla pianta un valido aiuto per un veloce recupero dell'efficienza vegetativa dopo lo stress e favorirne lo sviluppo.
Tra le principali malattie parassitarie di origine vegetale (funghi) troviamo:
Mal Secco;
Marciume basale o del colletto;
Maculature delle foglie e dei frutti;
Muffa delle foglie e dei frutti;
Marciume bruno dei frutti.

Le principali malattie parassitarie di origine animale (insetti) troviamo:
Larve minatrici di fiori e foglie o Tignole;
Mosca della frutta ;
Minatrice serpentina;
UTILIZZI IN CUCINA.
Della pompìa si usa solo la scorza per fare liquori, oppure la parte bianca sotto la scorza per fare le aranciate e una specie di canditi casalinghi: la polpa, e quindi il succo, sono troppo acidi, molto di più del limone.
Impensabile quindi il consumo fresco, a spicchi, o sotto forma di spremute.
Le sue origini sono misteriose: da alcuni è ritenuta un cedro ma molte caratteristiche, sia dell’albero che del frutto, non corrispondono alla specie.
Molto probabilmente è un ibrido naturale sviluppatosi da incroci tra agrumi locali.
Il territorio di Siniscola è parte dell’area agrumicola sarda che va da Budoni a Orosei, dove nei secoli sono state coltivate moltissime varietà di cedro, arancio e limone.
E’proprio tra i testi di appassionati di agronomia e botanica del Settecento, in particolare in un saggio sulla biodiversità vegetale e animale della Sardegna di Andrea Manca dell’Arca, pubblicato nel 1780, che si trova la prima citazione della pompìa.
Più o meno negli stessi anni, nel 1760, una statistica redatta per ordine del Viceré registra alcune coltivazioni di pompìa a Milis, nell’Oristanese.
Oggi gli alberi di pompìa crescono sporadicamente qua e là nelle campagne della Baronia.
Gli agricoltori della zona hanno alcuni alberi soprattutto per il consumo famigliare, solo due di loro coltivano veri e propri agrumeti e vendono le pompìe alle poche pasticcerie e ai ristoranti di Siniscola che producono dolci tradizionali.
Il comune di Siniscola ha avviato di recente un campo sperimentale di 500 alberi. Tutte le coltivazioni sono assolutamente naturali: l’albero di pompìa è molto rustico e resistente, raramente si ammala.
La raccolta è manuale e avviene a partire dalla metà di novembre fino a gennaio. Il Presidio ha riunito i coltivatori, i pasticceri e i ristoranti di Siniscola: l’obiettivo è far conoscere questo agrume singolare anche al di fuori del ristretto mercato locale e fare ricerca per individuare nuove possibilità di trasformazione e impiego dei frutti.
A tavola I dolci di pompìa hanno tempi di lavorazione lunghissimi.
Almeno sei ore di tempo, da quando si gratta via la scorza del frutto e lo si libera dalla polpa molto amara, cercando accuratamente di non danneggiare o rompere la parte bianca sottostante. Al termine non rimane che una sorta di palloncino vuoto che viene prima lessato, poi immerso nel miele millefiori e posto in una teglia a sobbollire per circa tre ore.
Al termine si fa raffreddare e si pone su un piattino: sa pompìa intrea è pronta.
Qualcuno la riempie di mandorle tritate, il nome del dolce in questo caso è sa pompìa prena.
Con la pompìa candita, a filetti, si prepara anche s’aranzata: una torta composta di pezzetti di pompìa, mandorle, ancora miele millefiori e piccoli confettini colorati (sa trazea).

Riso

IL RISO

Il riso è la cariosside , la pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Gramineae. Dopo la cariosside del riso si fa la mietitura che si intende il processo di raccolta nei campi dei cereali maturi. Il risone diventa commestibile dopo varie lavorazioni, svolte in un'industria risiera, principalmente a liberarlo dalle parti tegumentali (lolla o pula) . La lolla e il riso del rivestimento esterno del chicco, asportato con il processo di sbramatura.


PRODUZIONE E LAVORAZIONE DEL PRODOTTO


Si comincia con l'aratura della risaia, non eccessivamente profonda da aerare il suolo compattato dalla sommersione precedente: poi si passa all'erpicatura, per sminuzzare il terreno, e a una prima concimazione. La semina si fa in primavera (aprile, maggio) con una macchina seminatrice; il seme (risone) deve essere preventivamente ammollato, perché non galleggi. La semina si puo effettuare con risaia allagata, o risaia sommersa,oppure con risaia asciutta,cioe priva di acqua;la prima semina viene effettuata esclusivamente a spaglio, mentre in asciutta si semina interrando il seme a file . Tutte le tecniche prevedono una precedente o una successiva sommersione della risaia( essa consente di spostare verso temperature piu alte il campo di escursione termica ).



Il riso è avvolto dalle glumelle RISONE e subisce le seguenti lavorazioni: 1. PULITURA: separazione dalle impurezze 2.SBRAMATURA: distacco e separazione delle glumelle della cariosside, le glumelle formano la lolla. 3. SBIANCATURA: in cui si allontanano gli strati esterni della cariosside e l'embrione.

Nel corso della pilatura si ottengono i seguenti prodotti:

Il riso grezzo: che è privato della lolla però ha ancora il pericarpo e l'embrione.
Il riso sbramato : che ha subito una lavorazione incompleta alla sbiancatura e si usa nella lavorazione della birra.
Il riso raffinato : che è il riso bianco che ha subito 3-4 passaggi alla sbiancatura e che viene destinato come sottoprodotto a lavorazioni speciali.
Il riso comolino e oleato: che si ottiene oleando la superficie del riso raffinato con olio di lino o di vaselina.
Il riso brillato: che si prepara a seguito di lavorazioni con talco e glucosio e si usa nell'alimentazione umana

Si fanno 3 operazioni che sono:
1) La sbramatura viene eseguita con due dischi orizzontali, detti sbramini,il disco superiore è stazionario mentre quello inferiore , ad adeguata distanza , è in rotazione.Un'evoluzione degli sbramini a dischi è rappresentata dagli sbramini a cilindri gommati ruotanti a differenti velocità, i quali hanno ridotto i rischi di rottura.
2)La sbiancatura è un ulteriore passaggio effettuato nelle sbiancatrici, macchine costituite da coni pieni rotanti in griglie coniche.
3)La lucidatura, compiuta in macchinari simili alle sbiancatrici ma a coni rivestiti con strisce di cuoio, ha lo scopo di rendere il chicco più bianco e levigato. Il riso così ottenuto è noto come lavorato o raffinato. Esso viene infine selezionato e confezionato.



IL RACCOLTO

Le spighe del riso sono mature a settembre; con una mietitrebbia si svolgono contemporaneamente le due operazioni di mietitura e di trebbiatura




Produzione e lavorazione del prodotto


I funghi sono i principali patogeni della coltura del riso che possono colpire a qualsiasi malattiache possono essere il seme, foglie, collo (punto di attacco della pannocchia). La Pioggia, umidità dell’aria, temperatura, ph del terreno sono i fattori ambientali che influenzano lo sviluppo della coltura impiantata il riso. Un ' altra malattia puo essere la Brusone Che e anche un patogeno , dove si attaca alle foglie e alle guaine , sul culmo , e sulle pannocchie . Sulle foglie e sulle guaine e si trovano nelle tacche strette ed allungate ed di colore grigiastro , quando le piante sono state colpite da questa malattia Brusone le piante rallentano la loro crescita e la maturazione cariosside non si completa del tutto. La lotta contro la Brusone del riso bisogna usare la chimica e consiste con diversi metodi che possono essere di evitare di seminare dei semi troppo fini e che sono ritardate oppure usare delle concimazioni che devono evitare squilibri nutrizionali ed eccessivo di azoto.

venerdì 4 aprile 2008

Tossicità degli agrofarmaci

Le sostanze attive presenti nei prodotti fitosanitari sono sostanze potenzialmente tossiche per l'uomo; le intossicazioni possono essere provocate essenzialmente in due modi:
  • contaminazioni accidentale che si verifica quando durante la preparazione e la distribuzione degli agrofarmaci non si adottano le precauzioni necessarie;
  • contaminazione alimentare, che si verifica per l'ingestione di derrate alimentari che contengono residui tossici.
Possiamo distinguere tre vie di intossicazione:
  • per inalazione, che si verifica quando l'assorbimento avviene per inspirazione;
  • per contatto o dermale, che si verifica quando l'assorbimento avviene per contatto tra l'epidermide e il prodotto;
  • per ingestione, che si verifica quando si ingeriscono alimenti contenenti residui di agrofarmaci.

DL50

È il dosaggio di una sostanza solida o liquida che, se somministrato in unica volta, si rivela letale sul 50% della popolazione di animali soggetta a sperimentazione.
Si esprime in mg di sostanza per kg di peso corporeo.
Indicativamente in relazione alla DL50 una sostanza liquida può essere:
molto tossica (DL50 : <> 2000)

venerdì 28 marzo 2008

I limiti della lotta biologica

La lotta biologica è una tecnica che sfrutta i rapporti di antagonismo fra gli organismi viventi per contenere le popolazioni di quelli dannosi. Questa tecnica si è evoluta a fini agronomici e in genere si applica in campo agroalimentare per la difesa delle colture e delle derrate alimentari, ma per estensione si può applicare in ogni contesto che richieda il controllo della dinamica di popolazione di un qualsiasi organismo.
Principi fondamentali All'interno di ogni ecosistema, ogni specie è soggetta all'interazione con fattori di controllo, viventi o non, che regolano la dinamica della popolazione. Un ruolo non trascurabile è rappresentato dal controllo biologico da parte degli organismi viventi che con quella specie instaurano rapporti di antagonismo come la predazione, il parassitismo, la competizione interspecifica. I fattori biotici di controllo della popolazione di una determinata specie fanno parte integrante della capacità di reazione omeostatica di un ecosistema. In un ecosistema naturale, pertanto, le variazioni di popolazione di una specie inducono dinamici adattamenti dei componenti dell'ecosistema che interagiscono con la sua nicchia ecologica. Il risultato è una variazione ciclica che tende a contenere le pullulazioni e, nel contempo, a evitarne l'estinzione, a meno che non si verifichino nell'ambiente mutamenti tali che portano - in senso evolutivo o regressivo - ad un avvicendamento delle biocenosi.
Qualsiasi evento, applicato ad un agrosistema o altro sistema antropizzato, comporti il controllo di una specie dannosa da parte di un suo antagonista naturale può essere definito un mezzo di lotta biologica. La lotta biologica pertanto non è altro che l'applicazione di un modello di omeostasi in un sistema artificiale.
Per le sue prerogative la lotta biologica non abbatte la popolazione di un organismo dannoso, bensì la mantiene entro livelli tali da non costituire un danno. Questo aspetto differenzia nettamente la lotta biologica da altri mezzi di difesa, come ad esempio la lotta chimica convenzionale e la lotta biotecnica, nei quali si può anche contemplare l'azzeramento della popolazione dell'organismo dannoso. Ad esempio, l'impiego del Bacillus thuringiensis potrebbe essere interpretato come un mezzo di lotta biologica, in realtà ha prerogative che si avvicinano più alla lotta chimica che alla lotta biologica in quanto consiste in un intervento che si prefigge di abbattere la popolazione del fitofago indipendentemente dagli sviluppi successivi. Al contrario, l'inoculo di un predatore o di un parassitoide in un agrosistema, ai fini della sua acclimatazione, è da considerarsi un intervento di lotta biologica in quanto il meccanismo di controllo del fitofago si basa sull'evoluzione dinamica delle popolazioni secondo i modelli Ecologici.

I nematodi

I nematodi appartengono al phylum Nematoda, e sono chiamati anche vermi cilindrici perché presentano un corpo cilindrico a sezione trasversale circolare.
Ecologia :
Il phylum comprende sia specie conducenti vita libera che
parassiti.
Le specie libere sono numerose nei terreni umidi, nei sedimenti dei fondali acquatici e nelle sorgenti termali. Le specie terricole sono in prevalenza spazzini e vivono negli strati superficiali dove si nutrono di materia organica morta. La loro attività è molto importante per la miscelazione e l'aerazione del terreno. Alcune specie libere sono erbivore e si nutrono di
funghi, batteri, alghe e piante. Altre specie sono invece carnivore e si nutrono di microrganismi, piccoli invertebrati e di altri nematodi, compresi individui della stessa specie (cannibalismo).
I nematodi parassiti infestano un gran numero di piante e di animali. Alcuni parassiti sono dotati di un apparato boccale, provvisto di stiletti, atto alla perforazione delle pareti cellulari delle radici delle piante, in modo da potersi alimentare dei succhi vegetali. La loro attività è causa della perdita di numerosi raccolti. Altri nematodi vivono sulla superficie di organismi acquatici e molti riescono ad infestare i vertebrati terrestri, compreso l'uomo, insinuandosi nel
sistema digerente, in quello circolatorio o incistandosi nell'apparato muscolare.
Anatomia e fisiologia :
Essendo organismi pseudocelomati, i nematodi presentano una cavità posta fra il canale alimentare e la parete del corpo. La parete è formata (partendo dall'esterno) da:
-una cuticola pluristratificata;
-uno strato epidermico intermedio;
-uno strato muscolare longitudinale.
La cuticola è costituita in prevalenza da
collagene, una proteina fibrosa che protegge l'animale dagli urti meccanici. Lo strato epidermico sottostante si estende lungo lo pseudoceloma con 4 rigonfiamenti epidermici: 2 laterali, 1 dorsale ed 1 ventrale. Questi cordoni sono attraversati da canali escretori e nervi longitudinali. Lo strato muscolare longitudinale si estende poi tra i cordoni sotto l'epidermide ed è a contatto con il liquido pseudocelomatico che riempe la cavità. Ogni fibra muscolare forma una sinapsi diretta con i cordoni nervosi (dorsale e ventrale) che attraversano i rigonfiamenti epidermici. Questa è una condizione atipica nel regno animale poiché, in genere, la fibra muscolare si lega a quella nervosa tramite una giunzione neuro-muscolare. L'assenza di strati muscolari circolari non permette ai nematodi la capacità di movimenti complessi ed essi possono solo flettere od ondulare il proprio corpo utilizzando le particelle di sedimento come leve per effettuare gli spostamenti.
I nematodi sono organismi
proctodeati. In genere la bocca (posta all'estremità anteriore) è trilobata, ogni lobo reca delle mascelle cuticolari ed è delimitata da labbra. La bocca è collegata all'intestino tramite una faringe muscolosa che serve a pompare l'alimento direttamente nella cavità intestinale, la quale, quando non contiene il cibo, rimane schiacciata dalla pressione che la parete del corpo esercita sul liquido pseudocelomatico. La digestione avviene inizialmente nel lume intestinale per poi terminare all'interno delle cellule che tappezzano l'intestino. Gli scarti della digestione vengono poi espulsi per contrazione dei muscoli del retto attraverso l'ano (posto nella zona vicina l'estremità posteriore).
La circolazione delle sostanze nutritive e gli scambi gassosi, necessari per l'attività metabolica delle cellule, avvengono grazie al liquido pseudocelomatico che bagna le varie cellule del corpo e il suo compito è facilitato dai movimenti dell'organismo. La cuticola della parete del corpo è inoltre provvista di pori per mezzo dei quali avvengono gli scambi gassosi tra l'animale e l'ambiente esterno.
I prodotti di rifiuto dell'attività metabolica vengono eliminati tramite un sistema escretore a forma di "H": è formato da due canali escretori che attraversano i cordoni epidermici laterali e che si uniscono nella zona centrale e ventrale, dove sboccano all'esterno attraverso un nefridioporo (o poro escretore).
Il
sistema nervoso è formato da un gruppo di gangli connessi ad un anello nervoso che circonda l'intestino e dal quale si diramano cordoni nervosi sia anteriormente, verso la bocca, che posteriormente, verso la coda. I cordoni nervosi posteriori attraversano i rigonfiamenti epidermici e poi si riuniscono nei gangli vicini l'estremità.
I nematodi presentano
organi sensoriali, quali setole e papille inserite nella cuticola, che hanno funzione meccano-recettrice, ossia percepiscono gli stimoli tattili. Altri organi di senso sono gli anfidi, posti nella regione boccale, e i fasmidi, posti nell'estremità posteriore, che hanno funzione chemio-sensoriale, cioè servono per la percezione di segnali chimici (gli "odori") emanati dall'ambiente e dalle possibili prede e predatori. Questi organi, inoltre, sono importanti per la percezione dei feromoni, dei segnali chimici prodotti dalle femmine per attirare i maschi nel luogo dell'accoppiamento.
Riproduzione e sviluppo :
La maggior parte delle specie è
dioica e l'apparato riproduttore, sia maschile che femminile, è a "frusta", cioè formato da lunghi tubuli avvolti su se stessi.
I maschi possiedono uno o una coppia di
testicoli collegati tramite un condotto deferente ad una vescicola seminale, dove vengono raccolti ed accumulati gli spermatozoi prodotti. Dalla vescicola gli spermatozoi raggiungono l'orifizio genitale passando attraverso un dotto eiaculatore. L'orifizio è posto nell'estremità posteriore, la quale è dotata di spicole che hanno la funzione di mantenere divaricato il poro femminile durante l'accoppiamento.
L'apparato riproduttore femminile è costituito da una coppia di
ovari collegati ad un utero per mezzo di ovidotti. L'utero è poi connesso ad una vagina che sbocca all'esterno tramite il poro genitale femminile, posto nella regione centrale del ventre.
Con l'accoppiamento gli spermatozoi risalgono l'utero e fecondano le
uova negli ovidotti. le specie possono essere ovipare od ovovivipare e non si ha stadio larvale. Infatti dallo zigote si producono direttamente degli stadi giovanili, simili all'adulto ma sessualmente immaturi. Gli stadi giovanili subiscono 4 mute cuticolari prima di diventare adulti.