venerdì 28 marzo 2008

I limiti della lotta biologica

La lotta biologica è una tecnica che sfrutta i rapporti di antagonismo fra gli organismi viventi per contenere le popolazioni di quelli dannosi. Questa tecnica si è evoluta a fini agronomici e in genere si applica in campo agroalimentare per la difesa delle colture e delle derrate alimentari, ma per estensione si può applicare in ogni contesto che richieda il controllo della dinamica di popolazione di un qualsiasi organismo.
Principi fondamentali All'interno di ogni ecosistema, ogni specie è soggetta all'interazione con fattori di controllo, viventi o non, che regolano la dinamica della popolazione. Un ruolo non trascurabile è rappresentato dal controllo biologico da parte degli organismi viventi che con quella specie instaurano rapporti di antagonismo come la predazione, il parassitismo, la competizione interspecifica. I fattori biotici di controllo della popolazione di una determinata specie fanno parte integrante della capacità di reazione omeostatica di un ecosistema. In un ecosistema naturale, pertanto, le variazioni di popolazione di una specie inducono dinamici adattamenti dei componenti dell'ecosistema che interagiscono con la sua nicchia ecologica. Il risultato è una variazione ciclica che tende a contenere le pullulazioni e, nel contempo, a evitarne l'estinzione, a meno che non si verifichino nell'ambiente mutamenti tali che portano - in senso evolutivo o regressivo - ad un avvicendamento delle biocenosi.
Qualsiasi evento, applicato ad un agrosistema o altro sistema antropizzato, comporti il controllo di una specie dannosa da parte di un suo antagonista naturale può essere definito un mezzo di lotta biologica. La lotta biologica pertanto non è altro che l'applicazione di un modello di omeostasi in un sistema artificiale.
Per le sue prerogative la lotta biologica non abbatte la popolazione di un organismo dannoso, bensì la mantiene entro livelli tali da non costituire un danno. Questo aspetto differenzia nettamente la lotta biologica da altri mezzi di difesa, come ad esempio la lotta chimica convenzionale e la lotta biotecnica, nei quali si può anche contemplare l'azzeramento della popolazione dell'organismo dannoso. Ad esempio, l'impiego del Bacillus thuringiensis potrebbe essere interpretato come un mezzo di lotta biologica, in realtà ha prerogative che si avvicinano più alla lotta chimica che alla lotta biologica in quanto consiste in un intervento che si prefigge di abbattere la popolazione del fitofago indipendentemente dagli sviluppi successivi. Al contrario, l'inoculo di un predatore o di un parassitoide in un agrosistema, ai fini della sua acclimatazione, è da considerarsi un intervento di lotta biologica in quanto il meccanismo di controllo del fitofago si basa sull'evoluzione dinamica delle popolazioni secondo i modelli Ecologici.

I nematodi

I nematodi appartengono al phylum Nematoda, e sono chiamati anche vermi cilindrici perché presentano un corpo cilindrico a sezione trasversale circolare.
Ecologia :
Il phylum comprende sia specie conducenti vita libera che
parassiti.
Le specie libere sono numerose nei terreni umidi, nei sedimenti dei fondali acquatici e nelle sorgenti termali. Le specie terricole sono in prevalenza spazzini e vivono negli strati superficiali dove si nutrono di materia organica morta. La loro attività è molto importante per la miscelazione e l'aerazione del terreno. Alcune specie libere sono erbivore e si nutrono di
funghi, batteri, alghe e piante. Altre specie sono invece carnivore e si nutrono di microrganismi, piccoli invertebrati e di altri nematodi, compresi individui della stessa specie (cannibalismo).
I nematodi parassiti infestano un gran numero di piante e di animali. Alcuni parassiti sono dotati di un apparato boccale, provvisto di stiletti, atto alla perforazione delle pareti cellulari delle radici delle piante, in modo da potersi alimentare dei succhi vegetali. La loro attività è causa della perdita di numerosi raccolti. Altri nematodi vivono sulla superficie di organismi acquatici e molti riescono ad infestare i vertebrati terrestri, compreso l'uomo, insinuandosi nel
sistema digerente, in quello circolatorio o incistandosi nell'apparato muscolare.
Anatomia e fisiologia :
Essendo organismi pseudocelomati, i nematodi presentano una cavità posta fra il canale alimentare e la parete del corpo. La parete è formata (partendo dall'esterno) da:
-una cuticola pluristratificata;
-uno strato epidermico intermedio;
-uno strato muscolare longitudinale.
La cuticola è costituita in prevalenza da
collagene, una proteina fibrosa che protegge l'animale dagli urti meccanici. Lo strato epidermico sottostante si estende lungo lo pseudoceloma con 4 rigonfiamenti epidermici: 2 laterali, 1 dorsale ed 1 ventrale. Questi cordoni sono attraversati da canali escretori e nervi longitudinali. Lo strato muscolare longitudinale si estende poi tra i cordoni sotto l'epidermide ed è a contatto con il liquido pseudocelomatico che riempe la cavità. Ogni fibra muscolare forma una sinapsi diretta con i cordoni nervosi (dorsale e ventrale) che attraversano i rigonfiamenti epidermici. Questa è una condizione atipica nel regno animale poiché, in genere, la fibra muscolare si lega a quella nervosa tramite una giunzione neuro-muscolare. L'assenza di strati muscolari circolari non permette ai nematodi la capacità di movimenti complessi ed essi possono solo flettere od ondulare il proprio corpo utilizzando le particelle di sedimento come leve per effettuare gli spostamenti.
I nematodi sono organismi
proctodeati. In genere la bocca (posta all'estremità anteriore) è trilobata, ogni lobo reca delle mascelle cuticolari ed è delimitata da labbra. La bocca è collegata all'intestino tramite una faringe muscolosa che serve a pompare l'alimento direttamente nella cavità intestinale, la quale, quando non contiene il cibo, rimane schiacciata dalla pressione che la parete del corpo esercita sul liquido pseudocelomatico. La digestione avviene inizialmente nel lume intestinale per poi terminare all'interno delle cellule che tappezzano l'intestino. Gli scarti della digestione vengono poi espulsi per contrazione dei muscoli del retto attraverso l'ano (posto nella zona vicina l'estremità posteriore).
La circolazione delle sostanze nutritive e gli scambi gassosi, necessari per l'attività metabolica delle cellule, avvengono grazie al liquido pseudocelomatico che bagna le varie cellule del corpo e il suo compito è facilitato dai movimenti dell'organismo. La cuticola della parete del corpo è inoltre provvista di pori per mezzo dei quali avvengono gli scambi gassosi tra l'animale e l'ambiente esterno.
I prodotti di rifiuto dell'attività metabolica vengono eliminati tramite un sistema escretore a forma di "H": è formato da due canali escretori che attraversano i cordoni epidermici laterali e che si uniscono nella zona centrale e ventrale, dove sboccano all'esterno attraverso un nefridioporo (o poro escretore).
Il
sistema nervoso è formato da un gruppo di gangli connessi ad un anello nervoso che circonda l'intestino e dal quale si diramano cordoni nervosi sia anteriormente, verso la bocca, che posteriormente, verso la coda. I cordoni nervosi posteriori attraversano i rigonfiamenti epidermici e poi si riuniscono nei gangli vicini l'estremità.
I nematodi presentano
organi sensoriali, quali setole e papille inserite nella cuticola, che hanno funzione meccano-recettrice, ossia percepiscono gli stimoli tattili. Altri organi di senso sono gli anfidi, posti nella regione boccale, e i fasmidi, posti nell'estremità posteriore, che hanno funzione chemio-sensoriale, cioè servono per la percezione di segnali chimici (gli "odori") emanati dall'ambiente e dalle possibili prede e predatori. Questi organi, inoltre, sono importanti per la percezione dei feromoni, dei segnali chimici prodotti dalle femmine per attirare i maschi nel luogo dell'accoppiamento.
Riproduzione e sviluppo :
La maggior parte delle specie è
dioica e l'apparato riproduttore, sia maschile che femminile, è a "frusta", cioè formato da lunghi tubuli avvolti su se stessi.
I maschi possiedono uno o una coppia di
testicoli collegati tramite un condotto deferente ad una vescicola seminale, dove vengono raccolti ed accumulati gli spermatozoi prodotti. Dalla vescicola gli spermatozoi raggiungono l'orifizio genitale passando attraverso un dotto eiaculatore. L'orifizio è posto nell'estremità posteriore, la quale è dotata di spicole che hanno la funzione di mantenere divaricato il poro femminile durante l'accoppiamento.
L'apparato riproduttore femminile è costituito da una coppia di
ovari collegati ad un utero per mezzo di ovidotti. L'utero è poi connesso ad una vagina che sbocca all'esterno tramite il poro genitale femminile, posto nella regione centrale del ventre.
Con l'accoppiamento gli spermatozoi risalgono l'utero e fecondano le
uova negli ovidotti. le specie possono essere ovipare od ovovivipare e non si ha stadio larvale. Infatti dallo zigote si producono direttamente degli stadi giovanili, simili all'adulto ma sessualmente immaturi. Gli stadi giovanili subiscono 4 mute cuticolari prima di diventare adulti.

Caratteristiche dei prodotti fitosanitari

I prodotti fitosanitari presentano alcune peculiarità che nel loro insieme stabiliscono l'effettiva efficacia del prodotto. Questi aspetti sono di tipo:
- qualitativo;
- quantitativo;
- collaterale.

Aspetti qualitativi di un agrofarmaco.
La qualità di un agrofarmaco dipende direttamente da due fattori: la tossicità e la disponibilità.
La tossicità intrinseca è rappresentata dal danno che una sostanza attiva esplica nei confronti
dell'oganismo bersaglio. La tossicità intrinseca è, di conseguenza, la risultante di due momenti che sono sinergici ed indispensabili l'uno all'altro:
- il meccanismo di azione, che consiste nella capacità di raggiungere i punti vitali;
- l'azione della sostanza attivà a livello cellulare che consiste nella sostituzione, nella competizione o nell' aggressione dei sistemi biologici.
La
disponibilità di un agrofarmaco è la capacita di liberare la sostanza attiva, in presenza di vari stimoli, e di farla arrivare a contatto con il bersaglio.

Aspetti quantitativi di un agrofarmaco.
La disponibilità, basa i suoi requisiti su alcuni aspetti che determinano la quantità di agrofarmaco presente sul vegetale in un momento qualsiasi. Questi aspetti quantitativi sono: la copertura, il deposito e il residuo.
La
copertura rappresenta il grado di distensione della sostanza attiva sul vegetale.
Gli elementi che condizionano la copertura sono:
- la dimensione delle gocce;
- il mezzo meccanico usato per la distribuzione;
- la presenza di un coadiuvante tensioattivo che determina la distensione delle goccioline sulla superficie del vegetale.
Il
deposito rappresenta la quantità di prodotto che rimane sulla superficie del vegetale dopo il trattamento. Gli elementi che condizionano il deposito sono:
- la copertura che tanto più grande sarà, maggiore sarà il deposito;
- la natura del preparato e i mezzi di diffusione;
- la natura delle superfici degli organi trattiti;
- la carica elettrica;
- la presenza di un coadiuvante con funzione adesiva aumenta la possibilità di deposito di una sostanza attiva.
Il
residuo viene definito come la quantità di sostanza attiva che rimane, sull' organo vegetale, dopo un determinato periodo di tempo dal trattamento fitosanitario. Gli elementi che condizionano il residuo sono:
- mezzi meccanici e micronizzazione delle particelle le quali più sono piccole e minore sarà il dilavamento e maggiore l'effetto residuale;
- elementi climatici (pioggia, temperatura e luce) che svolgono attività azione dilavante, dissolvente, denaturante e volatilizzazione delle sostanze attive;
- accrescimento della pianta poichè nei momenti di grande espasione sia delle lamine fogliari sia dei germogli (primavera) si ha una riduzione dell'attività residuale.
Pertanto è necessario usare prodotti persistenti perchè siano validi dal punto di vista fitoiatrico, ma occorre che la persistenza sia strettamente limitata alla riuscita dei trattamenti.

Aspetti collaterali di un agrofarmaco.
Sono aspetti determinanti nell'azione di un agrofarmaco, possono essere di natura esterna oppure essere intrinseci al preparato stesso; fra questi aspetti ricordiamo:
- la
prontezza di azione che definisce la capacità di una sostanza attiva di svolgere immediatmente le sue funzioni;
- la
persistenza di azione che si intende come la capacità di un agrofarmaco di prolungare la sua azione nel tempo;
- la
miscibilità che si intende come la proprietà intrinseca di un prodotto fitosanitario di essere compatibile e quindi miscibile con uno o più preparati di tipo diverso. Le ragioni che stanno alla base della miscibilità sono da imputarsi ad aspetti sia di natura economica sia tecnica:
- i primi perchè unendo i preparati diminuiscono i costi dei trattamenti che vengono ridotti di numero;
- i secondi perchè si possono effettuare trattamenti complessi rivolti a più parassiti.
Un prodotto fitosanitario, nei confronti della sua
miscibilità con altri, presenta tre fenomeni:
-
indifferenza in cui la miscela non presenta particolari aspetti nè positivi, ne negativi;
-
antagonismo in cui la miscela presenta una riduzione degli effetti delle singole sostanze attive;
-
sinergismo in cui la miscela presenta effetti con caratteristiche migliori delle singole sostanze attive. La miscela, inoltre, presenta altri effetti che non considerano le sostanze attive, ma l'azione globale che l'insieme espica; infatti si possono presentare fenomeni di:
- minore solubilità o sospensività in acqua;
- fitossicità intesa come la capacità del prodotto ottenuto di provocare un danno alla pianta sulla quale è stato distribuito.
Allo scopo di evitare l'insorgere di questi fenomeni sono state approntate delle tabelle di compatibilità:
- la ridistribuzione definisce la capacità di un agrofarmaco di spostarsi e ridistribuirsi per volatilizzazione o per risolubilizzazione oppure per semplice trasporto del passivo;
- il citotropismo e la sistemicità esprimono la capacità di un agrofarmaco di superare le barriere cellulari ed entrare nella pianta comportandosi cioè da endoterapico.
Questi prodotti vengono raggruppati in tre grandi categorie:
- citotropici, sono composti che pur venendo assorbiti dai tessuti vegetali, non sono mobili e si localizzano nei punti in cui sono entrati ed al limite nelle zone limitrofe;
- translaminari, sono composti dotati di buona mobilità cellulare, essi vengono assorbiti e traslocati da cellula a cellula, sia in sonso laterale sia traversale;
- sistemici, sono prodotti estremamente mobili; essi vengono assorbiti ed entrano nel flusso linfatico raggungendo anche le parti della pianta che non sono state oggetto del trattamento.
L'uso di prodotti sistemici pone tuttavia una serie di problemi che impogono un'attenta valutazione nei trattamenti:
- la sistemicità varia in funzione dell'organo interessato;
- la sistemicità è migliore nelle piante metebolicamente efficenti;
- gli organi aerei non sempre riescono a richiamare e a concentrare una sufficente quantità di agrofarmaco;
- l'uso dei prodotti sistemici può determinare una selezione di ceppi resistenti.

La solarizzazione

La solarizzazione è una tecnica di disinfezione del terreno utilizzata negli ambienti mediterranei, in America Latina, negli Stati Uniti, in India, ecc. come sostitutiva della fumigazione. La copertura del terreno con un telo di plastica trasparente consente di raggiungere temperature necessarie a controllare i patogeni e a contenere lo sviluppo delle erbe infestanti. La maggiore limitazione di questo metodo è la sua dipendenza dal clima. Recentemente, molti studi sono stati condotti per migliorare l’efficacia della solarizzazione; risultati incoraggianti per il controllo di diverse malattie sono stati ottenuti combinandola con un ridotto dosaggio di pesticidi, con agenti di biocontrollo e soprattutto con ammendanti organici che producono composti volatili che si accumulano sotto il telo di plastica (biofumigazione). ”. Questa tecnica, a differenza delle altre, è più rispettosa dell’ambiente, presenta indiscutibili vantaggi ed è anche di facile applicazione. Consiste, principalmente, nel sottoporre il terreno all’irraggiamento solare nel periodo più caldo dell’anno. Le alte temperature che si registrano nei primi strati del terreno inducono la morte della carica patogena presente, funghi e nematodi, nonché dei semi di infestanti.
La solarizzazione si può effettuare sia in pieno campo che in serra; gli effetti, comunque, sono maggiori in ambiente protetto. La tecnica della solarizzazione si effettua mediante la copertura del terreno con film plastico trasparente. Tale copertura permette il passaggio delle radiazioni solari verso il terreno e ne ostacola la fuoriuscita dal terreno verso l’esterno durante la notte. In ambiente protetto, serra o tunnel, tale effetto è esaltato in quanto, oltre alla copertura del terreno con pacciamatura, vi è la copertura della serra stessa. La temperatura del terreno durante il trattamento dovrebbe raggiungere i 45-50° C per avere una buona efficacia. Ovviamente la solarizzazione si esegue nel periodo più caldo dell’anno, giugno-agosto, per circa 30-40 giorni; più lungo è il periodo di esposizione al sole del terreno maggiore sarà la riduzione della carica patogena dello stesso. Prima di procedere, occorre eliminare i residui di vegetazione della coltura precedente, arare il terreno alla profondità di 30-40 cm, nonché sminuzzarlo e affinarlo bene. Durante le lavorazioni del terreno sarebbe opportuno somministrare e interrare sostanze organiche. La sostanza organica, abbinata alla pratica della solarizzazione, libera per fermentazione composti volatili (ammoniaca, composti solforici, isotiocianati) ed altre sostanze ad azione tossica verso la carica patogena tellurica. Successivamente, occorre predisporre un impianto irriguo a goccia con ali gocciolanti, a distanze variabili secondo la portata degli erogatori stessi. Subito dopo la sistemazione dell’impianto irriguo bisogna coprire il terreno con film plastico di polietilene oppure LDPE, PVC o EVA. Infine, è necessario irrigare il terreno e portarlo alla capacità di campo. L’acqua data al terreno serve per condurre il calore negli strati più profondi del terreno e per far germinare i semi di infestanti e sottoporli, quindi, all’azione abbattente del calore. A fine solarizzazione bisogna evitare rivoltamenti di strati profondi di terreno. Ciò per evitare di portare in superficie strati di terreno probabilmente infetti, non sottoposti all’azione del calore. I vantaggi della solarizzazione rispetto agli altri metodi sono molteplici. Questa tecnica, infatti, distrugge la maggior parte dei funghi patogeni e provoca la devitalizzazione di quei funghi che non vengono sottoposti a temperature elevate e comunque ne impedisce la capacità di provocare infezioni successive. Inoltre, essa salvaguarda la flora microbica, antagonista di quella patogena, in quanto termotollerante, ed esplica un’azione di contenimento nei confronti di diversi nematodi soprattutto galligeni. Infine, con simile tecnica si ha il controllo di un gran numero di specie infestanti, tranne alcune specie non colpite a causa dei rivestimenti spessi dei semi o per la profondità a cui sono posizionate nel terreno. La tecnica della solarizzazione, sebbene nota a molti agricoltori, spesso non è stata presa in seria considerazione perché in passato si è fatto largo uso del bromuro di metile, il cui uso ora è vietato o meglio molto limitato. Ora è indispensabile trovare delle valide alternative di difesa, ed inoltre è necessario puntare su tecniche di lotta a più basso impatto ambientale. Ciò è auspicato sia dalla legislazione comunitaria che da quella nazionale, ma è sempre più richiesto dai consumatori e, quindi, dal mondo della distribuzione commerciale dei prodotti agricoli.
Nei terreni intensamente coltivati si assiste ad una proliferazione di agenti patogeni e, quindi, ad una riduzione delle rese e della qualità. È questo un fenomeno particolarmente accentuato nelle colture orticole protette. In particolare i patogeni fungini, i nematodi e le erbe infestanti, - sono responsabili dei principali decrementi produttivi. Tra i patogeni fungini più frequenti si segnalano il Phytophthorae, la Sclerotiniae, la Pythia,il Rhizoctoniae, la Fusaria e la Verticillia, mentre, fra i nematodi, quelli appartenenti ai generi Meloidogine, Dytilenchus e Pratylencus.

Agrofarmaci - danni a carico dell'operatore

La pericolosità dei fitofarmaci in agricoltura, sebbene dipenda dalle caratteristiche intrinseche del formulato, è innanzitutto legata all'uso improprio, o comunque poco corretto, da parte dell'operatore che impiega il prodotto.
La maggior parte delle contaminazioni accidentali avviene nella fase di preparazione della miscela antiparassitaria e durante la distribuzione fitoiatrica. Comunque è proprio il momento della preparazione della miscela che presenta i maggiori rischi di intossicazione; in effetti, aprendo e vuotando le confezioni dei fitofarmaci, la polvere, gli spruzzi ed i vapori sono circa 100-1000 volte più concentrati delle soluzioni. L'assorbimento dei fitofarmaci, durante il loro impiego, avviene attraverso tre vie: cutanea o dermale, inalatoria, orale.
I maggiori assorbimenti comunque si hanno attraverso la pelle ed in special modo attraverso le mani. All'interno dell'organismo, le sostanze tossiche si sciolgono nel sangue e da questo vengono trasportate ai vari organi.
Il fegato,provvede a trasformarle e, per mezzo dei reni, vengono eliminate con le urine. La tossicità dei fitofarmaci può essere immediata e riferita agli effetti di una sola somministrazione (tossicità acuta) oppure a medio-lungo termine, per effetto di più somministrazioni (tossicità cronica).
La tossicità acuta si manifesta entro breve tempo dall'assunzione della sostanza tossica, con sintomi immediati più o meno gravi, a seconda dei casi. Il tipo di sintomo dipende dalla classe chimica e dal meccanismo di azione tossica del principio attivo. La maggioranza dei sintomi acuti hanno azione neurotossica, cioè agiscono su un enzima (acetilcolinesterasi), presente nel tessuto nervoso, ed a livello della giunzione neuromuscolare. Il blocco dell'acetilcolinesterasi determina il vario quadro sintomatologico della intossicazione acuta. Per tradizione i sintomi vengono descritti come "nicotinici" e "muscarinici".
I sintomi nicotici comprendono: tachicardia, con rialzo della pressione arteriosa, midriasi pupillare, astenia, crampi, facile esauribilità muscolare ecc.
I sintomi muscarinici comprendono: nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, ipotensione arteriosa, broncospasmo con tosse, lacrimazione ed aumento della salivazione. I sintomi a carico del sistema nervoso centrale comprendono: confusione, disorientamento, ansia, insonnia, incubi, incoordinazione motoria, tremori, convulsioni, coma.
In genere i sintomi nicotinici e muscarinici si combinano tra di loro e nei casi più gravi si può avere morte per insufficienza respiratoria, dovuta alla paralisi dei muscoli e dei centri regolatori del respiro.
La tossicità cronica è quella che si avverte dopo un certo tempo (in genere anni) dovuta al graduale accumulo di sostanze tossiche in alcuni organi del corpo umano. Questa tossicità è subdola in quanto difficilmente è valutabile ed è quella che poi provoca danni gravissimi a livello cito-istologico e fisiologico molto spesso di tipo irreversibile. Nel quadro degli effetti indesiderati attribuibili alla tossicità cronica rientrano gli effetti mutagenici (alterazione del patrimonio genetico delle cellule dell'organismo), cancerogenici e teratogenici (danni al feto durante la gravidanza). Tutto ciò deve far meditare, quindi, l'operatore agricolo, che sovente è indotto a sottovalutare la portata del rischio a cui si espone usando prodotti chimici, circa l'importanza delle norme di sicurezza personale.
Va puntualizzato che la classificazione tossicologica dei prodotti fitosanitari è basata esclusivamente sulla tossicità acuta (determinazione della dose letale 50) e pertanto non tiene conto dei rischi di tossicità cronica. Pertanto,l'agricoltore che utilizza maggiormente prodotti fitosanitari appartenenti a classi tossicologiche meno pericolose (ex III e IV classe) tende ad abbassare ulteriormente la guardia finendo per trascurare ancor di più tali norme, esponendosi così agli effetti tossici cronici.
In genere i sintomi nicotinici e muscarinici si combinano tra di loro e nei casi più gravi si può avere morte per insufficienza respiratoria, dovuta alla paralisi dei muscoli e dei centri regolatori del respiro.
La tossicità cronica è quella che si avverte dopo un certo tempo (in genere anni) dovuta al graduale accumulo di sostanze tossiche in alcuni organi del corpo umano. Questa tossicità è difficilmente è valutabile ed è quella che poi provoca danni gravissimi a livello fisiologico molto spesso di tipo irreversibile. Nel quadro degli effetti indesiderati attribuibili alla tossicità cronica rientrano gli effetti mutagenici (alterazione del patrimonio genetico delle cellule dell'organismo), cancerogenici e teratogenici (danni al feto durante la gravidanza).
Va puntualizzato che la classificazione tossicologica dei prodotti fitosanitari è basata esclusivamente sulla tossicità acuta (determinazione della dose letale 50) e pertanto non tiene conto dei rischi di tossicità cronica. Pertanto, l'agricoltore che utilizza maggiormente prodotti fitosanitari appartenenti a classi tossicologiche meno pericolose tende ad abbassare ulteriormente la guardia finendo per trascurare ancor di più tali norme, esponendosi così agli effetti tossici cronici.